Buonisti e 'rigoristi'
La categoria degli insegnanti è evidentemente molto debole, sostanzialmente incapace di opporsi a qualunque cosa - dalle deliranti riforme che hanno devastato la scuola negli ultimi vent’anni, alla burocratizzazione con cui ci stanno soffocando e persino a un’enormità come la minaccia della regionalizzazione - ; incapace anche di far valere la forza del numero (nella scuola, complessivamente, lavora circa un milione di insegnanti, senza contare l’ ‘indotto’), come invece riescono a fare categorie numericamente molto meno ‘pesanti’ della nostra. Il paradosso è che altre categorie, specie quelle privilegiate e influenti, alzando la voce ben oltre la loro effettiva consistenza, riescono ad imporre alla collettività delle scelte a volte corporativistiche e del tutto contrarie all’interesse generale; gli insegnanti, invece, che lavorano per il futuro e il bene della società tutta, non riescono mai a far sentire davvero la loro voce. Io credo, per non spingere l’analisi troppo in là, che questa debolezza dipenda soprattutto dalle divisioni che attraversano la classe docente; alcune di queste divisioni sono di ordine pratico, e riguardano interessi contingenti: la lotta, che so, per far prevalere una modalità di reclutamento rispetto a un’altra; lotte che nella loro comprensibile urgenza fanno dimenticare, ad esempio, che una modalità unica, chiara e motivata di reclutamento, basata su capacità e preparazione, rappresenterebbe la solo possibile garanzia di giustizia per tutti. Queste divisioni, certamente, vengono incoraggiate ad arte da chi vuole indebolire ulteriormente la nostra categoria, secondo il principio del divide et impera.