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 I ragazzi non conoscono le parole. Sia chiaro, non penso ad "entelechia" o "transustanziazione" ma - per fare qualche esempio del tutto a caso tra gli innumerevoli possibili - a "volgere", "subdolo", "tirannia", "argomentare", "egemonia", "reperire", "seduzione", "concorrere a", "paradosso", "promontorio", "equità", "ironia", "poema", "romanzo", "cronico", "fendente", "sorte", "macchia mediterranea", "ansimare", "credibilità","equivocare", "sussulto"; per non parlare dei modi di dire e delle espressioni metaforiche: "Non si vede a un palmo dal naso" è diventata, in alcuni casi, una frase di difficilissima decifrazione.

Certo che i ragazzi non conoscono le parole; e perché mai dovrebbero conoscerle? Mica hanno la scienza infusa. Poi scopri che ad alcuni di loro, in quindici anni di scuola, non è stato mai fatto leggere UN libro...

Le parole vanno conquistate una per una, in classe prima ancora che da soli, faccia a faccia, parlandosi, guardandosi, spiegandosi, anche con il tono della voce, con l'insegnante che mette l'indice sul libro e dice "vedi qui?". E poi in autonomia, opportunamente instradati...

Meno i genitori fanno questo, più deve farlo la scuola. E, in una condizione di privazione che ha molti motivi, non ultimi l'abuso dei mezzi tecnologici, l'iperconnessione, l'orizzontalità dei social e la scarsa presenza di adulti che abbiano il coraggio di proporre altro, di accendere curiosità e di esserci davvero, è chiaro che poi, nel momento dell'emergenza, confrontarsi "a distanza" con studenti che non hanno le parole è ancora più difficile.

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Prevedo l'obiezione: "I ragazzini non usano le tue, di parole, ma hanno le loro". Non è proprio così. L'impoverimento linguistico può essere riscontrato in modo abbastanza oggettivo qualora si verifichi, come oggi, una riduzione del numero delle parole utilizzate e soprattutto la perdita della capacità da parte del linguaggio di cogliere le sfumature della realtà e, in un certo senso, di crearle.

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"Cos’è in realtà un libro se non la narrazione di un’esperienza? Non solo noi leggendo i libri abbiamo la possibilità di leggere le nostre esperienze, ma facciamo attraverso il libro esperienza delle esperienze che vi sono raccontate. Intendo tutti i libri, anche i manuali, i trattati, i cataloghi. In questo senso Wittgenstein ricordava giustamente che i confini del mio linguaggio determinano i confini del mio mondo. Il che significa che tanto più si arricchisce il mio linguaggio, tanto più aumenta la mia possibilità di fare esperienza del mondo” (Massimo Recalcati, A libro aperto. Una vita è i suoi libri, Milano, Feltrinelli, 2018, p.39).

"I meccanismi della comunicazione non sono entità neutre rispetto al loro oggetto, vale a dire rispetto ai fatti, alle informazioni, alle conoscenze, insomma, complessivamente, rispetto a ciò che siamo soliti chiamare realtà. La comunicazione non è semplicemente uno strumento per rappresentare oggetti da essa separati o in essa contenuti; essa invece condiziona costitutivamente la struttura stessa dei fatti e delle conoscenze" (Gianrico Carofiglio, L'arte del dubbio, Palermo, Sellerio, 2007, p.14).