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Non entrando nel merito dell’utilità oggettiva e della valenza didattica di tale misura, vorrei porre la questione sulla fattibilità della stessa, puntando l’attenzione sulla responsabilità politica di chi, oltre che proporre, dovrebbe mettere tutti in condizione di poter lavorare consapevolmente e con pari opportunità. La nuova legge di riforma n° 107/15, , dal comma 33 al comma 44, introduce e regolamenta l'obbligo di alternanza scuola-lavoro da svolgersi per tutti gli alunni nell'ultimo triennio delle scuole secondarie di secondo grado, a prescindere che si tratti di professionali, tecnici o licei. Unica variante è il monte ore totale ( 200 nei licei e 400 nei tecnici e professionali).

Iniziamo col dire che è sotto gli occhi di tutti il fallimento dell’ A.S.L. nei Licei. Sarei curiosa di sapere che tipo di orientamento e di attività propedeutica al lavoro aveva in mente il Legislatore, relativamente a ragazzi che hanno scelto di proseguire il loro percorso con la formazione universitaria.
Vorrei capire quale avvocato, notaio, ingegnere, architetto, laboratorio di analisi, nella  visione del Legislatore, si sarebbe fatto carico gratuitamente di formare dei ragazzi che, allo stato attuale, non hanno alcuna preparazione specifica.
A completare la voglia di tali professionisti di proporsi alle scuole (con un progetto predefinito in cui si esplicitano le attività e le modalità di realizzazione delle stesse) vi è il dover  compilare, per ciascun alunno “assunto ”, una scheda di valutazione.
Vi lascio ben immaginare come nel mio Liceo (e presumo anche negli altri) ci sia stata la gara alla candidatura  e la lotta per le “assunzioni”.
In verità, in seguito alla stipula del protocollo d’intesa tra MIUR e Consiglio Nazionale Forense, ci è stato proposto un progetto di simulazione di processo presso un Tribunale, ma il progetto ha un costo notevole (dovendo anche prevedere il pagamento degli spostamenti presso il Tribunale di una città limitrofa), ed è aperto solo a 10 ragazzi (su 405 da collocare in attività di alternanza).
Non ho voluto citare di proposito strutture ospedaliere e studi medici, perché è sotto gli occhi di tutti che per questioni di privacy e di sicurezza, i percorsi di A.S.L. sono pressoché improponibili in questo tipo di realtà.
Fortunati sono i Licei delle città in cui sono attivi percorsi universitari. In quel caso le convenzioni sono state attivate con l’Università ed hanno un valore formativo notevole (ma si discriminano in tal modo i Licei e le scuole delle piccole città di provincia, che non possono sobbarcarsi la spesa per gli spostamenti).
In fin dei conti, ben che vada, nei Licei si è travestito da alternanza ciò che si è sempre fatto:  progetti mirati al volontariato, all’educazione alla legalità, di rivalutazione e conoscenza del patrimonio storico-artistico, progetti di invito alla lettura, attività teatrali e di scrittura creativa…
Ma allora perché ammantarlo di novità, gravandolo però di incombenze burocratiche, di obbligatorietà di ore, di sfiancanti contrattazioni con enti esterni, restii a farsi carico gratuitamente anche solo della responsabilità di ospitare i ragazzi?
Analizzando la questione relativamente ai tecnici ed ai professionali (fermo restando le difficoltà burocratiche), dal punto di vista organizzativo dei percorsi, sembrerebbe, ad occhi profani, tutto più semplice.
Ma come ovviare allo sfruttamento degli studenti, come evitare il licenziamento di manodopera stagionale a favore dell’impiego di manodopera studentesca (completamente gratuita)? Come superare le oggettive differenze di opportunità tra scuole che si trovano in realtà vicine ad aziende qualificanti e scuole che devono accontentarsi di quel che c’è?
Sto pensando agli studenti fortunati, che svolgeranno i loro percorsi presso la Ducati e Lamborghini.
Ebbene, costoro usciranno con una preparazione specifica ben superiore ad un loro coetaneo siciliano, che avrà magari una maggior predisposizione, si sarà impegnato di più negli studi, ma che, solo in base alla sua residenza, sarà penalizzato nell’inserimento nel mondo del lavoro.
Veramente si vuol togliere alla Scuola il ruolo di ascensore sociale, uguale per tutti i ragazzi, da quelli nati in città confinanti con la Svizzera, a quelli nati nelle città costiere, di fronte all’Africa?
Inoltre, non si comprende come non siano state rispettate le sentenze del TAR del Lazio (di cui ben due esecutive), che avrebbero dovuto restituire le ore soppresse relative alle materie professionalizzanti e in particolar modo quelle relative alle attività laboratoriali, dove l’attività teorica era applicata all’attività pratica, mentre l’ASL spesso si riduce ad eseguire processi produttivi slegati dall’attività teorica.
Tra le altre problematiche poi c’è da evidenziare che, essendo attività obbligatorie per legge, sottraggono gli studenti dalle attività scolastiche utili alla loro formazione.
Quanto detto fino ad ora, riguarda la fattibilità dei percorsi, il loro potenziale discriminatorio e la loro negativa incidenza nel sociale, ma anche in relazione al budget scolastico, l’attivazione di tali percorsi è fallimentare.
Un detto dichiara: “Si vogliono far le nozze coi fichi secchi”!
Come si può dare alle scuole l’incombenza delle visite mediche agli alunni in alternanza, senza piuttosto  prevedere, a monte, la gratuità di tali visite per tutti gli alunni iscritti al terzo anno?
Come si può obbligare all’attivazione di corsi sulla sicurezza nei posti di lavoro (per tutti gli alunni a gruppi di max 30) senza prevedere un budget integrativo a parte?
Come si può pretendere di gravare il personale di segreteria (con scannerizzazioni di centinaia di patti formativi, protocolli di progetti e convenzioni, predisposizione di contratti di tutor interni ed eventuali esperti esterni, scannerizzazione e protocollo di centinaia di liberatorie immagini, comunicazione calendari ed elenchi alunni ad INAIL ed Ispettorato del Lavoro... ), senza prevedere l’integrazione in tutte le segreterie delle scuole secondarie superiori di una unità lavorativa specificatamente dedicata all’A.S.L.?
Capitolo a parte merita la situazione dei referenti, che devono barcamenarsi tra predisposizione dei percorsi con relativi elenchi degli alunni, intrattenere contatti con enti esterni, guidare nelle varie incombenze burocratiche i tutor interni, esplicitare al Collegio eventuali criticità riscontrate in percorsi attivati in precedenza, cercare di evitare percorsi non qualificanti con agenzie esterne ( che vedono nell’alternanza il nuovo business), rendicontare in piattaforma SIDI tutti i percorsi frequentati dagli alunni computando le ore effettivamente svolte di ciascuno di essi...
Inoltre, i referenti, in questi anni, si sono spesi per organizzare corsi sulla sicurezza nei posti di lavoro, si sono “inventati” le imprese presso cui i ragazzi avrebbero dovuto svolgere le attività, si sono formati a proprie spese… E poi?
Si sono riuniti da poco gli Stati Generali dell’alternanza ( 16/12/2017), ed i referenti non sono stati messi in condizione di poter dire la loro, pur essendo gli unici competenti in materia.
Viene deciso che 1000 soggetti dell’ANPAS andranno come tutor nelle scuole per “aiutare”  nei percorsi di alternanza.
Quando si aveva bisogno di aiuto, ci hanno mandato allo sbaraglio, ed ora, che si è a regime, arriva l’ ”aiuto” dell’esercito dei tutor esterni, ma proprio esterni: ESTERNI alla scuola!
Noi docenti non abbiamo (specie adesso) bisogno di aiuto. La nostra professionalità ed il nostro senso del dovere ci impongono che a fare le spese di una riforma così scellerata, non debbano essere i nostri alunni ( l’alternanza è obbligatoria al fine dell’ammissione agli Esami di Stato).
Rivendichiamo però il diritto di essere ascoltati e tenuti più in considerazione.