Sono molti quelli che in questi giorni stanno cogliendo l' "occasione" della chiusura delle scuole per rimproverare agli insegnanti una scarsa dimestichezza con gli strumenti informatici, un'impreparazione che li renderebbe drammaticamente inadeguati alla crisi che stiamo vivendo e alle nuove necessità di comunicazione a distanza che essa ha creato.
Ora, su questo vorrei sviluppare alcune considerazioni: 1) Se abbiamo ben presente la differenza tra mezzi e fini, sappiamo che i mezzi non hanno un valore in sé; il loro valore risiede nella loro utilità. Se questo è vero, bisogna ricordare come nessuno potesse prevedere che una situazione di emergenza avrebbe interrotto la possibilità di una didattica in presenza e reso l'uso degli strumenti tecnologici indispensabile per la comunicazione con gli studenti. Non è detto che questa indispensabilità permanga anche in futuro; in tempi normali, l'insegnante ha il dovere di avere qualcosa da trasmettere agli studenti, soprattutto contenuti e passioni culturali che abbiano senso e spessore e che egli deve per primo possedere. Rispetto a questo compito, il discorso sui mezzi utilizzati - tranne, appunto, in un una situazione di emergenza - è del tutto secondario;
2) È vero che oggi i giovanissimi vivono immersi in un mondo digitale e che, nonostante siano "nativi digitali", mancano degli strumenti necessari all'uso consapevole delle nuove tecnologie, delle quali spesso sono utenti del tutto passivi; ed è anche vero allora che uno dei compiti degli insegnanti, oggi, è quello di educarli ad un uso diverso, più consapevole, di tali tecnologie: si pensi solo all'enorme questione della scelta delle "fonti", della loro autorevolezza e credibilità, e di come sia indispensabile aiutare gli studenti a sviluppare un senso critico senza il quale ci si perde, e si può essere facilmente manipolati, nel un flusso continuo di informazioni che arrivano da internet e dai social. Ora, è evidente che un approccio critico ai nuovi mezzi di comunicazione e alle nuove tecnologie preveda un punto di vista non del tutto interno ad essi, una capacità di osservarli anche all'esterno per coglierne sia gli aspetti positivi, sia i limiti. E qual è questo "luogo" alternativo dal quale guardare con la possibilità di un distanziamento critico? Non può che essere quello della cultura, della conoscenza, della parola, della riflessione, del pensiero umano nella sua molteplicità e profondità storica, del libro, l'unico capace di fornire una preparazione solida e approfondita, non soggetta all'aleatorietà di un approccio acritico alla tecnologia contraddistinto da un "qui e ora" privo di spessore, un presente totalitario incapace di relativizzare la stessa tecnologia che, ricordiamolo, è mezzo e non fine. Non a caso, sono proprio i veri esperti - ad esempio nella scuola gli insegnanti di informatica, e non i neofiti ipnotizzati da quell'ideologia del 'nuovo' a tutti i costi imposta da immensi potentati economici - gli unici capaci di trasformare gli strumenti tecnologici in consapevolezza e cultura, di 'guardarli alle spalle', per così dire, nel loro reale funzionamento; gli unici capaci di trasformare gli studenti da utenti passivi in esperti a loro volta, in grado di andare a vedere 'cosa c'è dietro'.
Insomma, quando si attribuisce molta importanza all'acquisizione delle 'competenze digitali' da parte degli insegnanti, da un lato si rileva un'autentica necessità, dall'altro si rischia di dimenticare l'altro versante del discorso, quella della formazione umana e culturale dell'insegnante, che deve rimanere centrale e purtroppo a volte non lo è. Il valore dell'insegnante sta proprio nella sua condizione 'anfibia', nella possibilità di spostarsi da un mondo all'altro, nel trasmettere quella riserva di senso offerta dal mondo della cultura, l'unico capace di dare agli studenti un'alternativa rispetto a un'immersione totale e irrelata nel presente, e nel saper utilizzare ANCHE gli strumenti tecnologici per veicolare contenuti culturali significativi che deve egli per primo possedere. Insomma, quella delle 'competenze digitali' è l'ultima parte di un lungo discorso... e infatti;
3) In questo periodo, come accennato sopra, si rimprovera agli insegnanti che hanno poca dimestichezza con gli strumenti digitali di non sapere come far lavorare i propri studenti. Anche qui ci si dimentica di una cosa: se gli studenti - in una situazione di emergenza - hanno tante difficoltà nel lavorare in autonomia, questo dipende dalla loro scarsissima consuetudine con la parola scritta, al punto che non di rado, al di fuori dell'immediatezza della comunicazione orale, hanno difficoltà a comprendere quello che si chiede loro di fare; sorprende, a volte, ascoltare discorsi sul valore salvifico delle nuove tecnologie, quando si ha ogni giorno esperienza della condizione di semi-analfabetismo in cui si trovano molti studenti (e non solo loro...). Né di tale condizione si può fare una colpa agli studenti stessi: quando, nel corso di un percorso scolastico più che decennale, a una persona non viene proposta la lettura di UN solo libro, la capacità di comprensione di un testo scritto potrebbe essere acquisita solo grazie ad un intervento divino; è impossibile infatti imparare a leggere testi scritti senza...leggere testi scritti: hai voglia a voler insegnare direttamente la 'competenza' del saper comprendere testi scritti senza farli leggere...
Insomma, e in sintesi, non vorrei che la necessità di un'acquisizione di competenze digitali da parte dei docenti servisse ad occultare furbescamente altre necessità ed altre mancanze, anche più profonde, del nostro sistema educativo; in un discorso a lungo termine il recupero della parola scritta, ad esempio, dovrebbe venire prima di ogni discorso sull'uso delle nuove tecnologie, che possono essere preziose nell'ambito del 'come' dire, ma non possono sostituire quello sul 'che cosa' dire. A meno che, come chiedono potentati economici di ogni genere, non si punti all'addestramento e non alla formazione a tutto tondo della persona.