News

Chi non si ricorda della gloriosa scuola elementare di via Tempesta*, continuazione della via Risorgimento, oggi scuola dell’infanzia! Era una delle più belle scuole elementari di periferia, tre stabili indipendenti, su due piani, con spazio circostante per i momenti ricreativi giornalieri. 

Ricordo che arrivavamo a scuola con molto anticipo per cui, prima dell’ingresso in aula, noi maschi, giocavamo in gruppi, a ”tuzza a muro”,o “longu”, a “volta bottoni” o ci mettevamo a leggere scambiandoci i libri delle classi superiori: ci sentivamo felici se leggevamo con sicurezza. 

Di fronte alla scuola, c'erano e ci sono ancora i vecchi stabili degli artisti maniscalchi, i fratelli Bucca, che noi ammiravamo per la loro abile, magica arte di fabbri e forgiatori di ferri per scalpitanti cavalli, asini e muli, mentre aspettavamo il suono della campanella a mano (era la nostra antica alternanza scuola-lavoro?) dei bidelli don Santo e moglie, che vivevano al pianterreno sopraelevato del primo stabile, lato via Papa Giovanni XXIII. Quel suono di campana di bronzo ripetuto ci invitava ad entrare in ordine e silenziosi, come se entrassimo in un luogo sacro. La bidella ci sollecitava ad entrare accompagnandoci in classe dove ci invitava a recitare le preghiere, aspettando il maestro. Eravamo un corpo e un'anima con i bidelli e con il nostro maestro Caliri Letterio. Avevamo l'abitudine, se il tempo era bello, di andargli incontro, festosi, lungo la via Papa Giovanni e, dopo un gioioso saluto corale, correvamo dietro la sua bicicletta con borsa agganciata al tubolare, accompagnandolo fino all'ingresso della nostra scuola. 

Quando vedeva che alcuni studenti non erano ancora in classe al suo arrivo, mandava alcuni di noi a sollecitarli. Nella fattispecie, il maestro mi aveva nominato tutor di Filippo e mi mandava a chiamarlo quando non lo vedeva in classe: io mi recavo subito a casa sua e lo trovavo a litigare con le sorelle perché tardavano a fargli avere il panino caldo con la mortadella, che si comprava nelle botteghe di don Stefano e don Semi o di comare Vanna, mamma dell' attuale sig.ra Giovanna. 

Quando entravo in classe insieme al mio compagno Filippo, era un tripudio di applausi composti e gioiosi. 

Il maestro sapeva che, se non fossimo andati a sollecitarlo, il nostro compagno Filippo avrebbe perso un prezioso giorno di scuola. 

Le sue lezioni erano indimenticabili: egli, rivoluzionario ed ultra moderno nei suoi metodi di insegnamento, riusciva sempre a coinvolgerci facendoci diventare attori protagonisti, interattivi in epoca non digitale, Nella lettura di Pinocchio, tutti noi vestivamo una parte e recitavamo il nostro ruolo, che ci veniva dato in perfetta armonia con le nostre caratteristiche fisiche e cognitive. Il piú piccolo era Pinocchio, il piú movimentato Mangiafuoco, i più scaltri il gatto e la volpe e così via. Era una classe mista la nostra. 

Negli anni 60 vestivamo grembiuli azzurri con colletto bianco per i maschietti e grembiuli interamente bianchi, immacolati, con fiocchi fatti con nastri che ornavano i loro capelli oltre che il loro colletto per le femminucce. Negli anni precedenti, invece, indossavano tutti, bimbi e bimbe, grembiuli neri con colletto bianco. 

Studiavamo la storia recitando e drammatizzando Muzio Scevola, il Ratto delle Sabine, Orazi contro Curiazi, Cristoforo Colombo e la scoperta dell'America, Pietro Micca, i fratelli Bandiera, l'incontro di Teano, leggevamo il libro Cuore drammatizzandolo. Per la prima e la seconda guerra mondiale commentavamo le commoventi lettere dei soldati in guerra che ci facevano lacrimare. "Un anno sull'altopiano" di Emilio Lussu era diventata la nostra prima lettura impegnativa. Come potevamo non imparare? Venivamo coinvolti tutti, bravi e meno bravi e, così facendo, tutto restava indelebile, impresso nella nostra mente, perché noi eravamo gli attori protagonisti. Il nostro maestro Caliri non amava le ricreazioni prolungate, le frequenti passeggiate scolastiche, lui amava insegnare, non sprecare il suo tempo e noi lo capivamo e lo seguivamo sempre, con amore e fiducia. 

Nei collegi o nei consigli con il direttore, lui non era ben visto per quel suo instancabile, "rivoluzionario" impegno, che lo rendeva totalmente diverso dagli altri maestri, che amavano invece la 'normalità', le ricreazioni prolungate e le feste infinite. Noi ci rendevamo conto che 'gli altri', durante le cerimonie, (festa degli alberi, del risparmio ecc.) venivano lodati dal direttore, mentre il nostro maestro non veniva quasi mai nominato. Eppure, ricordo che ci aveva insegnato a risparmiare e, ad ognuno di noi, aveva fatto consegnare, dal direttore della ‘Cassa Centrale di Risparmio Vittorio Emanuele’, un libretto di risparmio nominativo che noi ritirammo, con cerimonia pomposa, presso la sede di piazza S. Sebastiano. Da quel momento, tutti noi cominciammo a depositare i soldi che genitori e parenti ci regalavano nelle nostre indimenticabili cerimonie di prima comunione, cresima, compleanni e, grazie a lui, tanti anni dopo, ci ritrovammo in possesso del prezioso libretto verde da adulti. Quando lui si ammalava e si assentava per forza maggiore, noi andavamo a fargli visita, anche se casa sua non era vicina. Ci accoglieva e, ad ognuno di noi, regalava un giornalino-storico diverso, raccomandandoci di leggerli e scambiarceli. Lui sapeva insegnare ed essere maestro anche da assente. 

Era veramente bravo, inconsapevole precursore di tante future metodologie didattiche (Flipped classroom, cooperative learning, mastery learning ecc.), che sperimentava ogni giorno, in classe, con strategie diverse, motivando ogni singolo alunno con cui si relazionava. Non aveva bisogno di corsi di aggiornamento farlocchi, molto spesso ideati per sprecare denaro pubblico e favorire sempre i soliti noti. Ci orientava, ci guidava, ci presentava agli insegnanti di scuola media e poi si informava sui nostri esiti. Un esempio difficile da dimenticare ed emulare. Noi lo rendevamo felice, salutandolo e conversando con lui, per strada, anche quando eravamo già adulti. Si inorgogliva se apprendeva che ci eravamo affermati nelle nostre professioni, proprio grazie ai suoi insegnamenti a livello culturale-umano-sociale-comportamentale. 

Amava stare in classe per insegnare alle anime in crescita, amava la vera scuola, quella che non aveva bisogno dei moderni pseudo-progetti, quella scuola che tutti noi dovremmo salvare e non usare. 

Allora, la figura dell’insegnante era carismatica, autorevole e incisiva nella formazione e nell’educazione degli alunni, infatti ognuno di noi ricorda vividamente, forse anche per un “debito morale”, tutti gli insegnanti e i compagni di classe avuti nel corso degli studi della scuola elementare, che rimarranno sempre le nostre guide e i nostri compagni di viaggio in un’esperienza indelebile di crescita. 

La famiglia era sempre solidale con la scuola e spesso incitava il maestro all’uso di maniere forti, cosicché l’alunno che subiva le punizioni, le nascondeva alla famiglia per non riceverne altre a casa.

Sono stati i nostri maestri ad alimentare e sviluppare le nostre intelligenze e le nostre curiosità; da essi abbiamo appreso metodi di studio, nozioni di tutti i generi, storie, tradizioni. Sono stati proprio loro a valorizzare le nostre predisposizioni, a farci scoprire ed esercitare il rispetto delle regole e tutti gli altri valori umani, civili e sociali che sono alla base della nostra formazione. 

Quei luoghi diroccati e rimodernati lungo la via Tempesta, ancora oggi, sembrano creature parlanti che raccontano la loro storia attraverso la mia memoria.

*la scuola in Via Tempesta di  Barcellona Pozzo di Gotto (ME)