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 La scomparsa di libri importantissimi dai cataloghi delle case editrici – con l’apparizione in libreria di ‘opere’ di imperscrutabile banalità commissionate ai ghost writer da calciatori, rapper, ballerine e destinate a durare pochi giorni – è il segno del “filoneismo” del nostro tempo. All’opposto del passato, quando a fare l’autorità di un’opera era la sua antichità (e anche quando si dichiarava la superiorità dei moderni sugli antichi, c'era comunque la possibilità di un confronto), sembra che oggi solo il recentissimo e l’istantaneo abbiano il diritto di esistere.

A scuola, ad esempio, quando si propone la visione di un film agli studenti, prima ancora che un solo fotogramma sia apparso sullo schermo, è molto probabile sentirsi dire frasi di questo tipo: “No, è brutto, è vecchio, è del 2012…”. Quando poi si insiste, si supera la prevedibile opposizione iniziale e si riesce a cominciare la ‘proiezione’, i capolavori cominciano a parlare intimamente, gli studenti si coinvolgono e alla fine ringraziano, stupiti e commossi: solitamente dopo la visione di Nuovo cinema paradiso, o Gran Torino, Big fish o The breakfast club, l’emozione e l’identificazione colpiscono in pieno, a volte arrivano anche le lacrime e, comunque, nessuno ricorda più che quel film è “vecchio”.

Per riprendere un’idea feconda dello psicoanalista Massimo Recalcati, in quest'epoca siamo tutti condizionati e spinti – per motivi economici facilmente intuibili – a confondere nuovo e recente: nuovo in realtà è tutto ciò che apre in noi spazi inaspettati di riflessione, che ci mostra qualcosa che non sapevamo di noi stessi, che ci stupisce con punti di vista a cui non avevamo accesso fino a quel momento, che ci offre un senso e una prospettiva fresca e inedita attraverso cui guardare e comprendere le cose, che fa nascere pensieri e sentimenti che rompono la crosta dell'abitudine; caratteristiche, queste, di ogni vera opera d’arte, anche di quelle create secoli fa ma nuove per noi, che si rinnovano ogni volta che ci vengono incontro.

Ciò che è solo recente, invece, proprio perché cronologicamente sovrapponibile a noi, rappresenta spesso quello che già ci aspettiamo, riproduce i cliché banali che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno – basti pensare all’abuso fine a se stesso degli effetti speciali nell’industria dell’entertainment -, conferma tutti i nostri pregiudizi, ci rassicura dicendoci solo quello che già sappiamo, ci sta incollato addosso senza quella distanza che è una delle condizioni indispensabili per pensare.

A guardare la questione da questo punto di vista, spesso è il recente ad essere incredibilmente noioso e ripetitivo, decrepito come una pelle morta, funzionale solo alle esigenze del profitto economico, che chiede il consumo immediato e la rapida sostituzione di ogni cosa con altri beni ugualmente insignificanti, visto che ciò che appaga davvero i bisogni profondi dell’essere umano rischia di durare troppo...