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Niente come la letteratura apocalittica può raccontare i tempi che stiamo vivendo: per la prima volta una possibile catastrofe, con i cambiamenti climatici di cui già vediamo gli effetti, mette in forse la sopravvivenza del mondo per come l’abbiamo conosciuto. Proprio la letteratura apocalittica, allora, può essere posta al centro di un’indispensabile educazione delle nuove generazioni, che non punti a dare l’idea dell’ineluttabilità della catastrofe incombente ma cerchi invece di far comprendere che il futuro dell’umanità dipenderà dalle scelte di ognuno di noi e da quelle collettive e politiche, anche e soprattutto nello stabilire un rapporto nuovo con l’ambiente naturale.

Un libro straordinario, da far leggere agli studenti per far prendere loro coscienza dei rischi che stiamo correndo a causa dei cambiamenti climatici, è il romanzo Qualcosa là fuori,

di Bruno Arpaia (Guanda, 2016). Questo libro (tra le cui fonti di ispirazione c’è il capolavoro di Cormac Mc Carthy, La strada, e che poggia su una solida documentazione scientifica) racconta di un futuro prossimo, in cui carovane di italiani, guidate da una società paramilitare privata, tentano di fuggire da un Paese ormai inabitabile e desertificato a causa dei cambiamenti climatici e cercano di raggiungere l’unica zona d’Europa dove è ancora possibile vivere, cioè la Scandinavia. L’ottica del romanzo è altamente straniante: i profughi climatici in questo romanzo siamo “noi”, nelle stesse condizioni in cui oggi intere popolazioni cercano di abbandonare l’Africa per raggiungere l’Europa. Il protagonista del romanzo, Livio, non a caso un anziano insegnante (colui cioè che dovrebbe credere che c’è ancora un futuro da consegnare alle nuove generazioni), da giovane un attivista ambientalista e ora solo al mondo dopo una spaventosa tragedia della crudeltà umana che gli ha distrutto la famiglia, compie insieme a migliaia di altre persone un viaggio della disperazione attraverso un’Europa arida, devastata e crudele, descritta con un eccezionale realismo geografico…

Proprio la non ineluttabilità della catastrofe ambientale è al centro di un altro libro, un accuratissimo saggio, da leggere in un percorso tematico dopo il romanzo; il titolo è Effetto serra, effetto guerra. Clima, conflitti, migrazioni: l’Italia in prima linea (Chiarelettere, 2017), gli autori sono Grammenos Mastrojeni, diplomatico che si occupa per l’Italia dei trattati di cooperazione ambientale, e il fisico climatologo Antonello Pasini.

Il libro mostra innanzitutto, dati scientifici alla mano, che se le tendenze economiche e politiche attuali del mondo non cambieranno, gli sconvolgimenti climatici diverranno nel giro di pochi decenni sempre più veloci, devastanti e irreversibili. Partendo da questo punto di realtà, che deve suscitare un giustificatissimo allarme e rompere il muro dell’indifferenza, Mastrojeni e Pasini spiegano quali sono gli interventi possibili, e in alcuni casi già avviati, per fermare una desertificazione che in un terribile circolo vizioso aumenta a sua volta l’effetto serra e l’innalzamento delle temperature. Al cento del discorso c’è l’Africa, continente moribondo per le responsabilità internazionali e delle classi dirigenti locali; invertirne le tendenze alla desertificazione, con progetti volti ad esempio alla raccolta dell’acqua, sarebbe secondo gli autori assolutamente possibile e richiederebbe investimenti e sforzi enormemente inferiori rispetto a quelli necessari a fronteggiare i cambiamenti climatici. Manca spesso, purtroppo, la “volontà politica” di sottrarre risorse alle economie nazionali per destinarle a forme di cooperazione i cui benefici sarebbero indispensabili per tutti; per questo occorre secondo Mastrojeni una presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica, a partire dalle scuole, che permetta di superare gli egoismi, la miopia della politica, le resistenze a investire risorse per “gli altri”. Tra l’altro, fermare la desertificazione significherebbe anche rilanciare l’agricoltura nelle zone più povere del pianeta; il che toglierebbe forza alla propaganda jiadista (che attecchisce là dove le popolazioni sono disperate e senza futuro) e rappresenterebbe l’unico modo per impedire una migrazione di massa senza precedenti verso il nostro continente. E qui torniamo al romanzo…