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Impresa scuola!

Per un momento applichiamo, come vogliono da un po' di anni, al sistema dell’istruzione in Italia la terminologia della finanza; apparirebbe evidente che,  ogni anno, avviene  un indiscriminato salvataggio dell’impresa-scuola, con una sopravvalutazione dell’attivo, ovvero delle competenze degli studenti diplomati. 

Lo focus più importante di questo discorso, anche per le sue implicazioni sul mercato del lavoro, è quello delle competenze certificate con il diploma di maturità.

Sto dicendo che questo sistema porta all'automatica sopravvalutazione delle conoscenze, capacità e famigerate competenze dei nostri studenti in nome dei  concetti di qualità e utilità che mai dovrebbero essere applicati al Sapere che, per definizione, è un concetto a-utile

  Quali sono le conseguenze di quest'assurda e drammatica concezione dell'impresa-scuola? Voti vuoti, diplomati che hanno un basso livello di competenze e una università fortemente sovradimensionata.

 L’università è sovradimensionata perché è gonfia di studenti che non hanno le competenze dichiarate nei loro diplomi.

L’investimento massiccio nella scuola sarebbe opportuno per riallineare le competenze reali a quelle dichiarate.

Ogni anno si provvede, invece, a una copertura indistinta dei costi del settore, a un “bail-out” si direbbe in finanza, lasciando a coprirsi di muffa i compiti irrisolti dei promossi in uscita dalla scuola e affidando all’università il compito di verificare le competenze in entrata e integrarle.

Così facendo si manifesta una imbarazzante non approvazione del bilancio della scuola e si impiegano risorse in modo inefficiente e dirette a progetti e attività utilissimi solo alle tasche di chi li fa.

Meritocrazia vera o finta?

Ma soprattutto si sbaglia ad assegnare il controllo alla parte che ha incentivo a manipolarlo: perché l’università ha il preciso interesse di stabilire gli standard in modo da evitare proprio il ridimensionamento di cui, invece, avrebbe bisogno. Si tratterebbe di ridurre gradualmente il numero degli ammessi all’università in base a valutazioni gradualmente più realistiche fornite dalla scuola. La direzione di miglioramento per l’università è dunque chiara: ridurre la dimensione ed elevare la qualità.

Per la scuola il discorso è più complicato, perché passa per una difficile riflessione sugli obiettivi della scuola dell’obbligo e sul come raggiungerli. Qui lo snodo critico è la scuola secondaria di primo grado, dove la pratica del "tutti promossi" produce squilibri all’ingresso delle superiori. Questi squilibri si potrebbero correggere, lo dico da anni, misurando i progressi non solo per anno, ma anche per materia: per esempio, la promozione sarebbe non alla seconda classe, ma al secondo livello di italiano, matematica, inglese... Alla fine della scuola dell’obbligo si avrebbero certificazioni di competenze di livello diverso nelle diverse materie. E da là, come avviene in Inghilterra, si accederebbe alla fase finale delle secondaria di secondo grado se in possesso dei requisiti minimi stabiliti. Ciò renderebbe gli obiettivi più chiari, per lo studente e per la scuola. E la fine della farsa!