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Questo libro, Quella voce che ruppe il silenzio, a cura di Dario Amadei e Elena Sbaraglia, edizioni Tlon,euro 10,20, è il risultato di un laboratorio scolastico di narrazione creativa sulla vita di Giuseppe Impastato a cui hanno partecipato i ragazzi della Scuola Media Statale Renato Villoresi e del Liceo Statale Terenzio Mamiani di Roma.

Gli studenti hanno raccontato la storia di Impastato attraverso le loro emozioni.

Peppino Impastato nacque  il 5 gennaio 1948 e morì il 9 maggio 1978 ucciso brutalmente dalla mafia. Il  suo corpo dilaniato dal tritolo fu trovato alle prime ore del mattino dai macchinisti di un treno in transito lungo la linea Trapani-Palermo.

Oggi avrebbe 70 anni.

Quest’uomo si battè per la giustizia sociale, per una società senza ingiustizie in Sicilia, per migliorare la vita degli altri uomini, combattendo apertamente la mafia.

Antesignano del giornalismo libero, senza padroni, parlò in maniera diretta dalla frequenza 98,800 Mhz di Radio Aut e la sua voce fu ascoltata da migliaia di coetanei nell’etere siciliano. La tragica fine ne segnò l’epilogo.

Per questo, un libro scritto dai ragazzi, per ricordare e far ricordare, rivolto a giovani e meno giovani, è un’opera meritoria per non scivolare nell’indifferenza.

Oggi probabilmente, lasciare spazio all’indifferenza è il male peggiore da combattere ancor più, forse, della stupidità.

“Odio gli indifferenti. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.”

 ANTONIO GRAMSCI, Gli indifferenti (La città futura, 1917)