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Il mio papà è un Maestro. E' in pensione da tanto. Nato nel 1928 oggi, 16 agosto 2018, compie 90 anni.

Quando sono diventata un'insegnante mi ha detto:

"Fa' il tuo dovere. Aiuta i più deboli. Sprona i più intelligenti. Rendi interessante ciò che insegni con storie e immagini raccontate. Quando incontri delle difficoltà rimboccati le maniche. Ricordati ogni giorno che devi guadagnarti lo stipendio".

 Questo messaggio fu postato da me, sul gruppo Facebook Professione Insegnante , il giorno della festa del Papà. Che è piaciuto, forse perché questo messaggio, nel momento di profonda difficoltà che sta attraversando la scuola pubblica statale e di conseguenza chi, come me, fa l’insegnante, è un messaggio che ci ricorda perché amiamo questa professione e quale nobile compito abbiamo nei confronti dei nostri studenti e, dunque, all’interno della società. 

Il mio papà si chiama Alfio D’Eramo. Ha un nome che in greco significa bianco, puro. Come dicevano gli antichi Romani, “Nomen omen”, nel nome vi è il destino. Infatti  posso affermare che mai nome poteva essere più adatto a mio padre perché papà è una delle persone più oneste e rispettose di leggi, doveri e responsabilità che io conosca. 

E’ nato in un piccolo centro montano dell’alto Sangro in Abruzzo: Tornareccio. E’ stato un piccolo studente elementare, un balilla durante il fascismo e dopo le medie aveva scelto di frequentare il Liceo Scientifico a Lanciano perché avrebbe voluto intraprendere la professione di Medico. Ma la guerra ha impedito che il suo desiderio si realizzasse. I Tedeschi erano entrati a Tornareccio e per poco non rischiò di essere deportato.  A casa sua c’era infatti un comò realizzato da mio nonno falegname. Su un tiretto mio nonno aveva intarsiato una stella che vagamente ricordava la stella di David. Voleva essere un semplice ornamento e nulla aveva a che vedere con la religione ebraica. Lo afferrarono e bloccarono. Per fortuna, messo alle strette, rimase tranquillo e i Tedeschi capirono, evidentemente, che non era “Judäische” come gli avevano gridato. Quel comò andò a finire poi sotto le macerie insieme all’intera casa fatta saltare dai Nazisti con badili di polvere da sparo messi in cantina. Ritrovato a pezzi fu poi ricostruito da mio nonno e oggi è il mio comò, un pezzo di storia della mia famiglia che per me vale più di un pezzo d’arte! 

 Necessariamente mio padre andò a vivere, con la sua famiglia, a casa dei nonni. Subito realizzò che il viaggio per raggiungere il Liceo a Lanciano, città distante circa 30 Km da casa sua, era diventato troppo rischioso. Perciò mia nonna lo iscrisse all’Istituto Magistrale di Pescara che, dopo gli esami di ammissione, frequentò da interno al collegio. 

Maestro per caso dunque, si potrebbe pensare.  E invece io credo che la professione di Maestro ce l’abbia scritta nel DNA il mio papà. Quante generazioni di alunni ha educato nei suoi 44 anni di servizio! Rispettato e stimato dai suoi alunni e dai loro genitori. E parlo di mio padre come Maestro non semplicemente da figlia. Io ho avuto mio padre come maestro in quinta elementare. Era un maestro severo ed esigente, giusto. Il programma di quinta, se ci penso adesso, era degno di una terza media o forse più. Arrivammo a studiare l’analisi del periodo, il teorema di Archimede, i cinque continenti, le guerre Mondiali, i volumi dei solidi. Quando spiegava la storia pareva di esserci in quei combattimenti! Sembrava di ascoltare Camillo Benso conte di Cavour, di sentire quelle mine e quegli spari perché, da buon attore, mimava le azioni militari e persino le esplosioni delle bombe. Altro che LIM! Noi bambini restavamo a bocca aperta, ipnotizzati. E così la storia diventava una storiella semplice da ricordare. La lettura a voce alta doveva essere spedita ed espressiva: alla virgola ci si ferma un po’, al punto un po’ più a lungo. I temi erano ricchi e coerenti; i problemi precisi e ordinati; la grafia chiara e comprensibile. Non lo chiamavo “Maestro” ma “Papà”. E in prima media ci ho messo un mesetto prima di smettere di chiamare papà la mia professoressa di lettere, suscitando l’ilarità generale! 

Il giorno della mia laurea in lettere classiche, al conferimento della lode, mio padre piangeva dalla commozione.

 Vederlo felice e orgoglioso di me è stato uno dei momenti più intensi ed importanti della mia vita! 

Quando, dopo la laurea, ho intrapreso la professione di insegnante i consigli di mio padre sono stati preziosi. Se mi lamentavo e lamento di alunni di liceo che non sanno leggere mio padre mi diceva e continua a dirmi: “Cinzia, se non sanno leggere insegna loro a leggere, se non sanno scrivere insegna loro a scrivere. Riparti dalle basi. Facile lamentarsi e basta! Tu devi guadagnati la pagnotta ogni giorno! Armati di pazienza e insegna loro quello che devono sapere. La storia falla immaginare con dei racconti. Falla diventare una storiella semplice da ricordare. Aiutati con schemini alla lavagna. La grammatica, la grammatica è la base. E riassumere!  Ai ragazzi più lenti dedica attenzioni particolari. Bisogna avere pazienza! Ai ragazzi più dotati dai compiti più complessi; stimolali, interessali! Che ti credi che è facile insegnare? Sii uguale con tutti. Per essere giusta devi dare ad ognuno quello di cui ha bisogno. Tu devi guadagnarti lo stipendio ogni giorno.”

 E sempre, sempre mi chiede: “Fai il tuo dovere?”