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A fronte dei comportamenti sempre più indisciplinati degli studenti a scuola, ci accorgiamo di quanto sia fondamentale l’imposizione di regole chiare da parte dell’istituzione scolastica. Questa però è solo una parte della questione: se infatti le regole sono sempre imposte dall’esterno, in che modo e quando avviene la loro interiorizzazione? Si ha l’impressione che il nodo decisivo si trovi qui, nel riuscire a fare in modo che le persone in crescita si approprino delle regole e comincino a sentirle, anche affettivamente, come parte di sé e della propria libertà, altrimenti l’imposizione non riesce mai a trasformarsi in educazione; esattamente come accade nelle dittature quando, al crollo del regime, cioè dell’imposizione esterna, appena venuta meno la funzione del controllo, si precipita in un caos senza regole, perché nessuno sembra aver introiettato un’autentica morale, indipendente dalla paura di una punizione.

L’ipotesi che si vuole proporre qui, tutt’altro che originale, è che la difficoltà ad ottenere una vera interiorizzazione delle regole derivi anche dall’evaporazione e dalla scomparsa della funzione paterna: ne parlano, tra i tanti, noti  psicoanalisti come Claudio Risé e Massimo Recalcati, in due libri notevoli (Il padre, l’assente inaccettabile, San Paolo, 2013, di Risé e Cosa resta del padre?, Cortina, 2017 [II ed], di Recalcati). Recalcati in particolare, in tutte le sue ultime opere, mostra come il modello paterno sia indispensabile non per imporre una legge severa e disumana, che schiaccia i figli sotto il peso della colpa, ma per trasmettere una Legge liberatoria, nella quale il non poter fare tutto e non poter essere tutto (cioè non poter rimanere in un’onnipotenza senza legge e mortifera) diventa, proprio attraverso l’esperienza del limite, produttrice di senso e di vita. 

Quanto sia importante la figura paterna, unita a quella materna in un’indispensabile immagine delle proprie origini che ognuno di noi dovrebbe portarsi dietro, ce lo dice la psicoanalista Cristina Chiarato, nel libro Bambini a oltranza (Polimnia, 2015): “Il riconoscimento della coppia della madre e del padre consente al bambino di situarsi, di collocarsi, di sentire le proprie radici, le proprie origini, e dall’oscillazione tra tutto della madre o niente, passa alla triangolazione del rapporto. Il bambino esce, così, da una modalità di rapporto fusionale uno a uno, in cui la figura del terzo, del padre, è all’inizio un’ombra appena accennata o irrilevante, ma diventa poi la prima possibilità che si presenta al lattante di esplorare nuovi oggetti. Quella che si chiama funzione paterna è un dispositivo che permette al bambino di comprendere che, nella vita, non si è mai solo in due, tu ed io, ma almeno in tre; rende possibile la separazione dal clima fusionale perché il padre, il terzo, è quello che con il suo esserci consente al bambino di spostarsi dall’asse tutto-niente [del materno], perché il bambino sente che esiste l’alternativa”.

Che esista nella nostra società una diffusa “nostalgia del padre” lo prova anche il successo di libri come Le tre del mattino, l’ultimo bellissimo romanzo di Gianrico Carofiglio, che racconta con grande essenzialità dei mezzi una delicata e commovente iniziazione maschile, basata su una riscoperta del rapporto tra un padre e un figlio che, durante due avventurosissime notti a Marsiglia, si confessano reciprocamente paure e debolezze, dopo anni di rabbiosa incomunicabilità. La centralità della funzione paterna è presente anche in famosissimi romanzi come La strada, di Cormac Mc Carthy, e in molti degli ultimi capolavori cinematografici di Clint Eastwood, in Gran Torino (un’altra straordinaria iniziazione maschile) come in una serie di film che esplorano il misterioso rapporto padre/figlia, il più sconvolgente dei quali è forse Millon dollar baby. A proposito del rapporto padri/figlie, si consiglia la lettura del bellissimo Ti ricordi papà? Padri e figlie, un rapporto enigmatico (Mondadori, 2005) di Gianna Schelotto, un’autrice capace come pochi di unire psicologia e racconto.

Qui, ovviamente, si parla di una funzione simbolica del paterno che fonda la libertà al di fuori dei legami simbiotici, non necessariamente da sovrapporre a una paternità biologica o biografica; è certo però, per passare dal simbolo alla realtà, che nella nostra società i padri sembrano rinunciare sempre più spesso non al potere patriarcale, di cui nessuno auspica il ritorno, ma alla responsabilità educativa; un fenomeno presente anche nel mondo della scuola, dove gli studenti (di entrambi i sessi) faticano a trovare occasioni di confronto con il maschile. Non è detto che le esplosioni di violenza e di rabbia e lo smarrimento dei giovanissimi non abbiano a che fare anche con questa mancanza.