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 Ma cosa sta accadendo?

Che i numerosi episodi di violenza nel mondo della scuola siano sintomo di altro, di un Paese alo sbando, di una società in crisi, di un ruolo, quello di docente, sempre meno riconosciuto, professionalmente, socialmente, economicamente, nella sua complessità?Di ragazzi soli, abbandonati a sé stessi? 

Nell'ellisse didattica, i cui fuochi sono rappresentati dal docente e dal discente, quando le cose non funzionano forse è perché, invece che di una relazione educativa sana e sostenuta da tutto il mondo circostante, vi sono  due monadi, e si è soli col proprio male di vivere? 

La Nazione riporta un episodio che risale al gennaio scorso: in un Istituto pisano un ragazzo punta una pistola alla tempia del suo insegnante urlandogli, come nei film, di alzare le mani in alto e abbassare la testa. Poi si è scoperto che non era una vera arma, che il ragazzo era solito a minacce e urla nei confronti di vari docenti ed è stato indagato per violenza privata continuata, minacce e ingiuria. Per lo studente potrebbe arrivare la richiesta di rinvio a giudizio. 

E il ragazzo di cui ho scritto ieri che voleva dar fuoco al suo insegnante aizzato dalla classe.

In una scuola secondaria di primo grado di Cesenatico un ragazzo spruzza spray urticante  al peperoncino nei corridoi portando al malore e problemi di respirazione e epidermici numerosi studenti che sono dovuti correre al pronto soccorso.

In un Istituto di Feltre una docente esasperata dall'eccessiva vivacità di una classe di sedicenni chiama i Carabinieri. Dopo i controlli del caso da parte delle forze dell'ordine il dirigente sospende tutta la classe e a quel punto riceve velate minacce da parte dei  genitori di uno studente! 

E basta!

Ma cosa sta accadendo? Da una parte i genitori, ormai sindacalisti dei figli, li difendono davanti all'indifendibile. Dall'altra noi docenti, ormai in balia delle frustrazioni di tutti, ragazzi, genitori, mass media, opinione pubblica. Nuovi capri espiatori di un Paese allo sbando. Siamo stati dipinti dalla politica e dai media come privilegiati, che non solo hanno un posto fisso e uno stipendio fisso (di questi tempi!), hanno anche vacanze estive (sono ferie e io, quest'anno, tra gli impegni  da docente interna agli esami di Stato e il rientro agostano per le sospensioni del giudizio, non fruirò di tutti i giorni di cui avrei diritto, ma vaglielo a dire!). Insomma saremmo privilegiati e parliamo pure! Questa l'opinione diffusa di noi. Questo il motivo per cui ogni maledetta riforma che fanno riguardante la scuola passa come acqua fresca. Poi magari studenti e famiglie si accorgono per esperienza che ciò che denunciavamo nelle nostre manifestazioni , flash mob, sfilate, articoli, era vero, tutto maledettamente vero. Ma siamo sempre soli! Eppure è così di immediata comprensione che noi docenti siamo lì, insegnanti ed educatori, a guidare i nostri studenti nella loro crescita come uomini e donne, crescita culturale, spirituale, civile e anche fisica. Ho visto entrare in prima liceo degli scriccioli il cui zaino era più grande di loro e ora sono uomini e donne, alti, critici, competenti, educati, gentili e li adoro e mi mancheranno moltissimo e so che mancherò loro. Perché ogni tanto mi fermano per strada, mi invitano ad un aperitivo ex studenti, mi scrivono, mi vengono a trovare! E non sono la sola. Accade a milioni di colleghi. E' accaduto ai miei genitori che sono stati maestri, ora in pensione. Perché allora di noi si vuole dipingere un'immagine o di scansafatiche o di privilegiati o vittime? Perché non si racconta che siamo soli, che facciamo spesso più di quello che è nel nostro contratto, che seguiamo i nostri alunni anche nei loro problemi personali, che siamo disponibili h 24 e, tuttavia, siamo abbandonati dalle istituzioni, dallo Stato, dalla cittadinanza, in balia di problemi più grande di noi, senza sostegno psicologico e talvolta ci ammaliamo, psichicamente e fisicamente? Il burnout degli insegnanti è studiato da anni ma non si vuole riconoscere. Probabilmente perché dovrebbero o aiutarci o pagarci di più o entrambe le cose. Il Dott. Vittorio Lodolo D'Oria e tanta ricerca nel capo psicologico raccontano che la professione di docente è maggiormente esposta alle malattie psicofisiche come tutte le altre helping professions, ovvero professioni di aiuto come quella dei medici, infermieri, psicologi. Un lavoro fitto di relazioni con studenti, genitori, colleghi, dirigenti, staff dirigenziale n un ambiente che è diventato sempre più competitivo e coercitivo, aziendale. Svolgiamo un lavoro complesso dal punto di vista relazionale e spesso non abbiamo le competenze per aiutare i ragazzi che avrebbero bisogni di assistenza psicologica, educativa, rieducativa di professionisti. Quando qualche alunno mi ha rivelato drammi esistenziali e/o familiari sono rimasta davanti ai compiti in lacrime e mi sono sentita impotente ed invasa da dolore e rabbia insieme. Sono forte, ho una famiglia che mi sostiene, sono capace di reagire. Ma se io fossi in uno stato mio di prostrazione, per una malattia o un problema familiare, come potrei sostenere il mio alunno triste o depresso e me contemporaneamente? Come?