“Nell’utilizzo dei propri account di social media, il dipendente utilizza ogni cautela affinché le proprie opinioni o i propri giudizi su eventi, cose o persone, non siano in alcun modo attribuibili direttamente alla pubblica amministrazione di appartenenza. In ogni caso il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale”. E’ quanto si legge nell’art. 11 ter aggiunto al dpr 62/2013 che rappresenta il codice di comportamento dei dipendenti pubblici.


Il ministro della funzione pubblica Zangrillo ha messo nero su bianco facendo seguito a ciò che si vociferava da mesi, sin dallo scorso governo.

Inutile dire che questo provvedimento viola l’art. 21 della costituzione che sancisce la libertà di parola e di pensiero critico di tutti i cittadini. Ciò che rappresenta un grave atto che limita la libertà dei docenti è l’ultima parte del testo integrato che fa riferimento all’amministrazione di appartenenza ma anche alla pubblica amministrazione in generale.

C’è da capire come potranno essere interpretate normali lamentele che i docenti pongono ad esempio sul nostro gruppo, spesso non circostanziate quindi non riconducibili ad una ben precisa istituzione scolastica.

La norma verrà pubblicata sulla gazzetta ufficiale del 14 luglio e la pubblicazione la renderà a tutti gli effetti valida e in vigore.

Immediata la reazione unanime di tutti i sindacati che si appellano all’art. 21 della Costituzione. Scontata, invece la risposta di Giannelli, presidente dell’associazione nazionale presidi, secondo il quale la norma è giusta e colma un buco legislativo estendendola ai social.

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