C’era una volta una scuola fatta da persone che la vivono tutti i giorni, docenti, studenti, dirigenti, personale amministrativo. Era una scuola vissuta sul campo da tutti gli attori protagonisti.


Adesso ci sono due scuole, una che sta solo nella mente dei politici a via Trastevere, l’altra vissuta dentro gli edifici di 8000 istituti. Due scuole completamente diverse per nulla sovrapposte.

Da un lato c’è una scuola che sta sul territorio e che ogni anno si mette in vetrina per mostrare il meglio di sé, anche nelle promesse che probabilmente non manterrà tra innumerevoli indirizzi, seconde e terze lingue, materie speciali. Dall’altro un Ministero che ogni anno si inventa qualcosa di nuovo sulla scorta di non meglio precisate indicazioni provenienti da una certa propaganda politica e filo industriale.

La storia del Liceo del made in Italy (che dimostra di non essere fatta in Italia neanche nella dicitura in inglese), è a dir poco surreale. Non contenti di aver attivato un ministero con quella dicitura, il governo si intesta una idea originale: un nuovo liceo con materie del “vecchio” liceo scienze umane indirizzo economico-sociale che dovrebbe cambiare denominazione tanto per fare una cosa nuova.

Il nuovo liceo del made in Italy già sbaglia nella denominazione. Il liceo non è una scuola del fare. Le scuole del fare e del progettare sono per propria natura quelle tecniche e professionali. Ma la parola liceo davanti fa figo, visto che è di moda, quindi avanti con il liceo…

Poi si passa alla propaganda. Durante qualche uscita il Ministro del Made in italy distribuisce zainetti promozionali con la scritta MIM liceo del Made in Italy. peccato che al loro interno ci fosse una etichetta con la scritta “Made in China” e all’esterno dello zainetto ci fosse persino una etichetta che raffigura la bandiera della Gran Bretagna. Nulla di Italiano, quindi.

Poi occorre far aderire le scuole. E’ tardi, dopo le vacanze di Natale, i presidi non sono d’accordo con questo indirizzo di cui non si sa nulla. Il Ministro non molla, mette una proroga a tutte le iscrizioni, che così anziché terminare il 31 gennaio come sempre terminano il 10 febbraio, pur di convincere qualche dirigente. Alcuni si sentono addirittura obbligati e accettano pur malvolentieri: 92 prime classi sono quelle richieste da altrettanti licei in tutta Italia. Il Ministro grida al successo: è un buon inizio, dice. Ma ancora non ha fatto i conti con l’utenza.

Allo stato dei fatti, all’indomani della chiusura delle iscrizioni le scuole di tutta Italia racimolano un deludente risultato: su 466.750 iscrizioni solo 375 studenti hanno scommesso su questo liceo: in media 4 per ognuna delle prime classi programmate. C’è da scommettere che non nasceranno 92 prime classi ma forse neanche 10 poiché il numero minimo di iscritti non può essere meno di 12. Ma qualcuno si inventa qualcosa di nuovo: una deroga sul numero minimo di iscritti, in barba alle classi pollaio mai abolite che arrivano a superare anche 30 iscritti.

Chiamato in causa il Ministro del made in Italy si dichiara soddisfatto: è un buon inizio, non ha per nulla fatto i conti eppure bastava dividere il numero degli iscritti per il numero delle classi per scoprire che si tratta di un flop colossale. Niente, incapace di ammettere il flop.

Una volta tanto c’è da tenere in considerazione il fatto che il Ministro ha fatto i conti da solo. Non ha tenuto conto del parere dei docenti, non ha tenuto conto del parere dei Dirigenti, non ha tenuto conto del parere del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, deve tener conto del parere dei genitori e degli studenti. Senza di loro il Liceo del Made In Italy non può esistere, e infatti non esiste.

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