Oggi, nel nostro consueto visiting quotidiano (questa mattina i docenti sono arrivati quasi ai confini con la Francia, svegliandosi alle 4 del mattino) ho ribadito un pensiero che vi riporto anche qui.


Alcune scuole (e pochi colleghi) stanno facendo passare l’idea che basti uno strumento o un banco colorato, magari con qualche stickers, per essere innovativi.

In quelle stesse scuole, poi, vediamo banchi in posizione frontale e strumenti nuovi impolverati (come se bastasse mettere la Costituzione su un banco monoposto e frontale, per agirla e per agire il cambiamento)

Mi si dice che la scuola è in crisi.

E’ vero, ma la crisi non è tanto nelle sue infrastrutture, nelle architetture, nelle classi sovraffollate, la crisi è prima di tutto culturale.

Ci sono persone di scuola che appena parli di multidisciplinarità vanno in crisi. Alcuni temono persino un libro digitale, altri di lavorare per classi aperte o di mescolare robot e scienza.

Si perde tempo. Si perde tempo.

Come se non avessimo capito che il tempo non è una quantità, ma una qualità

Alcuni dati:

il 75% dei docenti non ha mai fatto formazione (fonte: Università cattolica del Sacro Cuore)

l’Italia è al 121simo posto al mondo per investimenti sulla scuola (Fonte: Nazioni Unite)

1 studente su 7 non arriva al diploma (fonte MIUR)

Gli studenti itlaiani sono i primi al mondo per livello di ansia (Fonte: OCSE)

Sapete qual è il falso mito?

Credere che sia possibile agire il cmabiamento con qualche arredo o qualche strumento all’ultima moda, come se il senso stesso della scuola stia, stia, nella penna o in un tablet.

Occorre, allora, investire sulle persone, prima di tutto su noi stessi.

Occorre liberarsi della cultura delle risposte esatte, della ripetizione, di leggi e ripeti tre volte.

Occorre liberarsi dell’idea della scuola come prestazione e che il solo ascolta possa produrre apprendimento.

Occorre anche uscire dall’illusione che basti uno strumento per cambiare e migliorare tutto.

Occorre uscire dalla cultura dell’innovazione a tutti i costi, come se fosse una moda dire: lui ce l’ha fatta, ha fatto la rivoluzione acquistato cose.

Cose appunto.

Credo che il PNRR per la scuola vada accolto per quello che è: una grande opportunità per ripensare se stessi, come docenti, come dirigenti scolastici, come educatori.

Occorre riflettere sulla necessità di lavorare in squadra, per classi aperte e per curricoli personalizzati (e diciamocelo: non si perde tempo e non si interrompe il programma se si dedica del tempo per progetti multidisciplinari o per ascoltare i nostri alunni). Occorre uscire dalla logica che il docente sia il tramite del sapere o l’epistemologo della propria disciplina. Il docente prima di tutto si prende cura dei propri alunni e fornisce quegli strumenti per dare loro la possibilità di scegliere, prima di tutto chi essere.

occorre investire tempo e risorse su ciò che la scuola sa davvero o dovrebbe davvero fare: didattiche, pedagogia, metodologia, relazioni.

Ci siamo educati alla resilienza, al si è sempre fatto così, perchè mi fa comodo e funziona (in realtà la nostra scuola non è che abbia funzionato benissimo, neppure 50 o 30 anni fa).

Educhiamoci a pensarci migliori e a darci tutte le straordinarie possibilità

Siamo la Scuola e dobbiamo farlo.

E’ questo che lasciamo a chi viene in visiting ogni giorno da ogni parte d’Italia: il cambiamento inizia qui, da te, perchè tu sei già qui!

PS oggi nel Visiting i docenti e i direttori didattici ci hanno detto: pensavamo di trovare solo arredi e bellissimi ambienti, invece abbiamo trovato tanta pedagogia e tanta umiltà e voglia di sperimentare

Alfonso D’Ambrosio

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