la legge 107 oltre a rappresentare un punto fermo nella demolizione dei diritti degli insegnanti, contiene tra le pieghe una serie di tentativi per delegittimare gli ultimi rimasugli di libertà di insegnamento sanciti dall’art. 33 della Costituzione.


Le norme venute fuori dopo la promulgazione della legge 107 del 2015 come ad esempio il DL 61/2017 concernente il nuovo PECUP (profilo educativo culturale e professionale) hanno realizzato l’idea secondo la quale occorra una vera e propria programmazione didattica di gruppo, corale, da parte di tutti i docenti con conseguente demolizione di ciò che rimane della libertà di insegnamento.

Dal 2017, prima per gli istituti professionali poi per tutti gli altri circolano modelli di documenti particolarmente articolati con una serie di sezioni dedicate ad una non meglio identificata progettazione didattica per competenze e soprattutto per gruppi di discipline.

Di fatto si fa sempre più strada l’idea di insegnante mero esecutore materiale dei dettami di una didattica calata dall’alto dove i contenuti e le progettazioni didattiche rappresentano solo una piccola parte di quanto programmato.

Occorre, infatti, programmare tutta l’attività in una logica industriale, della supply chain dove ogni elemento è parte integrante e rappresenta solo un anello insignificante. Il docente si trova a riempire moduli o parte di essi nella speranza di poter ancora decidere come e quando affrontare i vari argomenti che intende portare avanti ma soprattutto cosa vuole portare avanti nella didattica di quella classe che gli viene affidata.

Se da un lato le dirigenze scolastiche tendono ad avere le “carte in regola” con una serie di scartoffie in ordine e con caselle ben compilate e piene di termini altisonanti, dall’altro la migliore delle ipotesi è quella di fare come si è sempre fatto dopo aver compilato documenti che certificano ben altro. La peggiore è una scuola della catena di montaggio, che sforna cittadini tutti uguali mal formati ma schedati nel grande archivio delle invalsi.

E’ indubbio che è in atto un processo di delegittimazione della libertà di insegnamento in favore di una omologazione dei saperi finalizzata alla didattica per competenze, quella didattica ormai dichiarata fallita, importata anni fa dagli USA e da rispedire al mittente. Mittente che ciò si rende conto di aver formato una generazione di inetti incapaci di esercitare il pensiero critico.

Nonostante termini generici che fanno riferimento al PTOF come vera carta di identità della scuola, non c’è alcuna norma che impone al docente di uniformarsi ed unirsi ad una azione di programmazione della grande macchina spersonalizzata della scuola. Una macchina che solo in apparenza mostra di dedicarsi alle diversità attraverso piani educativi personalizzati ma che non è in grado di trovare il tempo e le risorse per metterle in atto. Tanto fumo e niente arrosto, insomma, con il risultato di un livellamento generale verso il basso.

Dicevamo, non c’è alcuna norma che imponga al docente modelli di programmazione didattica standardizzati. Egli può scrivere anche a mano un elenco di argomenti che intende trattare, le modalità che intende utilizzare e cenni alle eventuali strategie che sono nelle sue intenzioni ma che prontamente può cambiare in base al proprio personalissimo parere totalmente svincolato da quello di altri colleghi della stessa classe.

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