Il 5 marzo ci siamo svegliati tutti a casa, insegnanti, dirigenti, studenti, genitori. Dalle paure per le prime avvisaglie del covid si passava a qualcosa di serio: pandemia.


Eravamo tutti sotto choc ma pensavamo che dopo qualche giorno la scuola avrebbe riaperto. 8 milioni di studenti e oltre un milione di docenti a casa impotenti, incapaci di inventarsi un modo alternativo di fare scuola mai visto prima.

Non sapevamo ancora che dopo meno di una settimana sarebbe scattata la chiusura totale. Lockdown, Dad, smartworking, mascherine, tampone, disinfettante… erano le parole che circolavano tra noi tutti increduli di quanto stava accadendo. Se ci avessero detto che tutto questo sarebbe durato per oltre due anni forse non avremmo retto.

Iniziava una nuova stagione, un modo diverso di vedere le cose. Qualcuno iniziava a dire “andrà tutto bene” oppure: “ne usciremo migliori”, Sappiamo benissimo che non è stato così.

In pochi giorni gli insegnanti si rimboccarono le maniche e cominciarono a studiare ogni possibilità di far sentire la loro presenza. La didattica a distanza prendeva forma tra mille direttive, indicazioni spesso errate, modi diversi di pensare, obblighi e anche norme stravolte.

la scuola vecchia, quella della carta e della penna si era ritrovata dentro un brutto sogno da cui era molto difficile uscirne. Si era anche svegliata e aveva constatato che non era solo un sogno ma triste realtà.

La scuola vecchia si era svegliata e molti insegnanti scoprivano che tutti gli attestati sulla didattica innovativa, l’uso del pc, le competenze tecnologiche erano solo sulla carta. Si sentivano un po’ come quei soldati che alla fine del servizio di leva avevano imparato a scimmiottare con un’arma ma si trovavano catapultati in una guerra contro un nemico invisibile. Soldati con armi che non sapevano usare anche se da qualche parte era scritto diversamente.

Ma come spesso accade nei periodi peggiori, questi possono trasformarsi in valide opportunità di cambiamento e crescita.

Da allora ogni insegnante sta come avviare una videoconferenza, scansione un documento, creare una prova da sottoporre on line, cercare materiale, produrne altro, scambiarlo con i colleghi.

Se prima queste operazioni erano appannaggio di pochi esperti, poi sono diventate competenze di pubblico dominio anche se apprese in fretta e furia.

Gli insegnanti entravano nelle case degli studenti, veniva stravolta la privacy di insegnanti, studenti e famiglie pur di raggiungere un obiettivo impossibile da trascurare: l’insegnamento. Scoprivamo che il tempo trascorso on line era ben diverso da quello in presenza, che gli studenti cominciavano a dare segni di insofferenza, chiusi a casa a tempo indeterminato. Scoprivamo la bellezza di alcune semplici cose come una banale passeggiata, i rumori, le grida in classe e nei corridoi. Scoprivamo che ci mancava tutto quello che fino a quel momento avevamo anche odiato. Perchè affinché si riesca ad apprezzare qualcosa forse occorre che questa venga a mancare.

Il notiziario che ci teneva tutti incollati al televisore era quello delle 18:00 quando venivano dati numeri da conflitto bellico: morti e feriti. Tutti isolati nelle proprie case, alcuni più isolati degli altri in una propria camera senza contatto con altre camere per via di qualche contagio in famiglia.

I docenti ma mano si organizzavano mentre dall’altro le decisioni “migliori” erano banchi a rotelle e banchi monoposto, distanziamento flessibile, norme da interpretare in base a come la scuola voleva.

I docenti si organizzavano in comunità di pratica on line sui social, chiedevano, si formavano di notte e di giorno cercavano di essere pronti a fare didattica a distanza. Un periodo che sicuramente ha fornito ai docenti più formazione di 10 anni di corsi e attestati utili solo a fare punti.

Gli studenti perdevano i nonni senza poterli neanche vedere ma ogni giorni presentavamo fossero presenti in Dad, anche a telecamera spenta anche se nel frattempo erano “impegnati” a fare altro.

Una ferita tremenda che a distanza di tempo forse non riusciamo ancora a comprendere ma guardando i nostri studenti adesso forse cominciamo a renderci conto di quanto sia mancata loro la scuola in presenza.

Io ricordo ancora il primo giorno di rientro a scuola in presenza e ricordo la gioia nel vedere tutti presenti anche se con tanto di mascherina, disinfettante e tante altre misure di sicurezza. Ci si guardava negli occhi finalmente e si sperava di non dover chiudere tutto di nuovo. Ma poi sappiamo come è andato tra aperture e chiusure continue.

Dovevamo uscirne migliori ma è andata proprio così? O forse abbiamo già dimenticato i momenti di “prigionia” agli arresti domiciliari? Dovevamo impiegare meglio le lunghe ore da trascorrere chiusi in casa ma quanti lo hanno fatto? Quanti, invece, sono gli studenti che portano con sé il danno di una istruzione non proprio completa, con mezzi a tratti improvvisati, senza il contatto visivo della presenza?

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