Meno tempo in aula e più a casa con didattica a distanza. Patti di comunità col territorio cioè utilizzo di spazi esterni agli istituti dove svolgere esperienze alternative.
Più disuguaglianze?
Stiamo cogliendo la crisi come occasione per migliorare, svecchiare, modernizzare, digitalizzare la scuola italiana o si sta approfittando dell’emergenza sanitaria per imporre una riforma di sistema che rivoluzionerà i modelli educativi e la storia di ciascuno studente e il profilo lavorativo e culturale di ogni insegnante?
Leggete leggete.
Radio Popolare intervista brevemente Giulio Ceppi, architetto e professore aggregato presso il Politecnico di Milano, membro del Comitato di esperti istituito dal Ministero dell’Istruzione che sta lavorando alle ipotesi di riapertura a settembre.
Dice testualmente:
“Bisogna cercare di usare quanto ci sta accadendo per alzare l’asticella e cogliere, come spesso accade in Italia, l’emergenza per cercare di risolvere problemi come quelli delle classi troppo numerose che ci accompagnano da troppi anni.
Certamente cercare di usare il tempo e non solo lo spazio – o meglio la combinazione di queste due variabili -in una maniera diversa.
Stiamo lavorando su un modello molto più ibrido, che adesso seguirà ancora la forzatura che il Covid ci impone, ma che nel tempo diventerà una modalità permanente.
Lavorare con tempi diversi, con modalità diverse, con le differenze che ogni scuola vorrà applicare a seconda del numero di studenti, di come è collocata nel territorio.
[..Si tratterà ..] di avere tre piattaforme su cui lavorare:
la fisicità della scuola, che è quella a cui siamo tutti abituati- andare a scuola. Si andrà meno a scuola ma si farà più scuola, perché in parte si lavorerà in piccoli gruppi anche da casa e in parte anche lavorando per creare degli spazi nuovi, degli spazi esterni alla scuola e fare quelli che abbiamo chiamato dei “patti di comunità”, quindi agevolare la possibilità per le scuole di avere dei laboratori, delle aule, degli spazi esterni, nelle vicinanze della scuola, ma che possano diventare spazi sicuri ma anche spazi dove fare didattiche alternative.”
Ripeto:
Stiamo cogliendo la crisi come occasione per migliorare, svecchiare, modernizzare, digitalizzare la scuola italiana o si sta approfittando dell’emergenza sanitaria per imporre una riforma di sistema che rivoluzionerà i modelli educativi e la storia di ciascuno studente e il profilo lavorativo e culturale di ogni insegnante?
“Ai posteri l’ardua sentenza!”
Se non fosse che, nel mio attivismo in difesa della scuola pubblica, io non vedo una linea evolutiva proficua e positiva nelle riforme che si stanno succedendo (Gelmini, 107, DAD) quanto piuttosto due direttrici costanti:
1.riduzione del pensiero critico degli studenti ( e via via anche degli insegnanti);
2. riduzione del ruolo dell’insegnante da educatore a burocrate.
Cioè noi dovremmo pensare e far pensare, dovremmo accendere la curiosità.
Cosa accade invece? Sempre più stanchi, stufi, vecchi (età media insegnanti italiani 55 anni ; età media dei neoimmessi in ruolo 45-50 anni), sempre più scoppiati (il burnout connesso con la nostra professione è armai fatto assodato); ci troviamo di fronte studenti sempre più passivi, sempre più teleconessi, videoconnessi, Netflixconnessi.
Saranno anche scuolaconnessi?
E’ un processo già avviato. Fa parte del capitalismo e nessuno, dico nessuno, vuole metterci un freno.
Tanto se protestiamo siamo i dipendenti statali con lo stipendio e tre mesi di vacanza; se non ci adeguiamo noi docenti saremo i soliti fannulloni che non vogliono aggiornarsi nostalgici della scuola vecchia e gentiliana.
Beh sapete che vi dico? Ad avercene oggi di scuola gentiliana! Credo che la maggior parte degli Italiani non sappia che nelle scuole tecniche e professionali non si studia più la geografia e questo solo per fare un esempio. Nella maggior parte delle scuole non si studia più seriamente né storia dell’ arte né latino, tanto siamo in Italia che vuoi che ne dobbiamo sapere noi del nostro passato, di storia e di arte! Ne abbiamo forse?
Qui si scambiano i mezzi con i fini! Si insegna a pensare come? Con metà classe in presenza metà a distanza? Con 30 alunni per classe?
Suvvia, bisogna essere moderni! Che saranno mai questo latino, questa storia, questa arte, questa filosofia..
Internet, velocità, macchine, PC! Questo è importante!
Io vi pongo un’altra domanda, che in questa guerra tra capponi di Renzo sfugge:
che sarà della cultura, delle capacità critiche, del pensiero e dunque dell’azione dei nostri figli?
Li vogliamo persone o automi?
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