Leggendo Mastro-don Gesualdo di Verga, mi è venuto un pensiero sicuramente già formulato altre volte nella storia della critica, ma forse non in questa forma - e poi, un’idea che nasce spontaneamente in noi, dal contatto diretto con un’opera, è sempre diversa da una formula che ci arriva dall’esterno.
Insomma, pensavo: in Mastro-don Gesualdo - ancor più che ne I Malavoglia, dove l’umanità dei protagonisti fa da controcanto alla disumanità del paese - tutti i personaggi recitano (con rarissime eccezioni, costituite di solito dalle vittime); tutti fingono, tutti sostengono una parte: ad esempio nelle contrattazioni economiche - che occupano uno spazio enorme in questo universo cupo dove conta soltanto l’interesse materiale, e dove anche un matrimonio non è nient’altro che un affare – tutti fingono di disperarsi, di aver ceduto alle richieste della controparte, di essersi rovinati, di averci rimesso, per poi andarsene soddisfatti ritenendo di averla spuntata sull’altro. La mancanza di autenticità segna tutti i rapporti umani e l’intero sistema della socialità, ed investe in pieno anche la dimensione assolutamente ipocrita di una religione che è soltanto forma, pura recita anch’essa.