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In questi giorni in tutte le scuole italiane si stanno attivando modalità di didattica a distanza, indispensabili ormai a mantenere il contatto tra insegnanti e studenti. Il rischio, come sempre nella nostra scuola e forse nel nostro Paese, è che prevalga anche in questo momento un atteggiamento burocratico (più che stare vicini ai ragazzi avere le "carte a posto", voti e programmi svolti compresi, per poter concludere l'anno scolastico come se niente fosse) e che l'inevitabile attenzione sui mezzi, sul "come" insegnare, faccia dimenticare il "che cosa" vogliamo insegnare, la sostanza, e il "perché".

Da parte del Ministero, secondo alcuni, si starebbe mettendo in discussione la stessa libertà d'insegnamento, con suggerimenti sempre più stringenti su come proseguire l'anno scolastico con l'ausilio delle nuove tecnologie e lasciando ai Dirigenti scolastici piena discrezionalità sulla direzione da dare al lavoro dei docenti; cosa comprensibile in un momento d'emergenza, a patto che questo non diventi un irrigidimento sclerotizzante e controproducente, che porti a imporre nelle singole scuole una metodologia a scapito di altre altrettanto valide. Bisognerebbe ricordare soprattutto che anche quelli tecnologici sono “mezzi”, da utilizzare quando servono ma del tutto incapaci di esaurire in sé il senso dell’attività educativa e della trasmissione culturale, che hanno altrove le proprie radici.

Sull’argomento mi sono permesso di scrivere una lettera aperta alla Ministra Azzolina, raccontando la mia esperienza:

"Gentile Ministra Azzolina, io credo che chi ha delle idee, la volontà di continuare a insegnare e qualcosa di importante da trasmettere riesca a trovare abbastanza agevolmente un modo per comunicare con i propri studenti; temo invece che tutta questa improvvisata passione un po' conformista e un po' totalitaria per il 'mezzo', che vedo intorno a me, rischi di coprire un vuoto di contenuti, di sostanza educativa e culturale. Per quanto mi riguarda, mi arrangio abbastanza bene con registro elettronico, email e gruppi WhatsApp: faccio sintesi e spiegazioni scritte da me e tarate esattamente sui miei studenti - non prese a caso qua e là -; le affianco alle pagine del libro, chiedo agli studenti, con i quali sono in contatto costante, un riscontro scritto sulle difficoltà incontrate, poi faccio svolgere dei lavori il più possibile creativi sulla base di quello che ci siamo detti; per monitorare gli stati d’animo dei miei studenti, mi faccio inviare settimanalmente anche un ‘diario dell’emergenza’. Ogni due/ tre lavori ricevuti scrivo un giudizio sull’impegno e sulla qualità di ciò che si è prodotto. Fino a questo momento non ho girato video (anche se ho proposto un paio di ottimi video di Alessandro Barbero per supportare il lavoro di Storia, e un paio di filmati che mostrassero episodi de I promessi sposi) e non ho organizzato videoconferenze, e non solo perché dovrei imparare a farle: è che tutto sommato credo che questa comunicazione per iscritto - in cui sono di continuo costretti a leggere e a rispondere - faccia bene ai miei studenti. Da questo punto di vista, considero prezioso il tempo particolare che stiamo vivendo; lo dico nonostante adori parlare con i ragazzi – l’insegnamento è fondato sulla parola – e anche se questo tipo di lavoro, la produzione di contenuti scritti originali per quattro classi e sei materie, mi costa molta fatica e giornate intere davanti al computer; ma è una di quelle fatiche che danno soddisfazione. 

Detto questo, le confesso che mi piacerebbe essere lasciato un momento tranquillo, per avere la concentrazione e la calma che mi sono necessarie per riflettere e lavorare, senza essere di continuo frastornato dal sovrapporsi di notizie, indiscrezioni e direttive che arrivano da fonti più o meno ufficiali e dalla frenetica concitazione che sembra aver assalito tutti. Stiamo lavorando, lavoreremo, stiamo vicini ai nostri ragazzi, ai quali tentiamo nonostante tutto di continuare a insegnare contenuti culturali preziosi e insieme ai quali non smettiamo di esercitare l’abitudine alla riflessione; per farlo però abbiamo bisogno di autonomia e di serenità. La tragedia che stiamo vivendo è, appunto, una tragedia, da fronteggiare insieme; non può essere considerata un’ 'opportunità' da cogliere (cito un autorevole esponente dell’ANP) per far diventare la Scuola altra cosa da quella che è. Non peggiore, almeno".