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Il maggior esperto italiano di burnout e stress da lavoro correlato, il medico Vittorio Lodolo D'Oria, affronta ed analizza  l'annosa questione sulle telecamere a scuola. Nel seguente articolo ha cercato di dare una risposta alla non facile domanda:

Le telecamere a scuola e in aula rappresentano una soluzione o una complicazione rispetto al problema dei maltrattamenti, veri o presunti?

Scrive il medico ed esperto Vittorio Lodolo D'Oria:

"La questione delle telecamere (TC) nelle scuole è stata finora affrontata quasi esclusivamente dal punto di vista ideologico, ingenerando sterili e inconcludenti discussioni, nonostante i casi segnalati dalle cronache siano in continua ascesa.

 

C’è chi è già ricorso all’installazione delle telecamere (vedi in questi giorni la Scuola dell’Infanzia di Locri nel quartiere Moschetta), persuaso che la tecnologia sia la soluzione ma dimenticando che il problema sta nella lettura e interpretazione delle immagini. Il presente scritto si propone di riflettere sull’argomento facendo riferimento ad alcune pubblicazioni di fonti autorevoli che considerano i diversi punti di vista (psicologico, tecnico, medico, cinematografico, inquisitorio) di avvocati, Forze dell’Ordine e registi cinematografici.

 

Telecamere nelle scuole

 

Lo Studio Legale Pomante scriveva già nel 2015 che “Le cronache sono fortemente responsabili dello stato d’ansia in cui vivono oggi i genitori… Le regole della produzione normativa, prima che il buon senso, impongono di non promulgare norme sull’onda emozionale dei fatti di cronaca, sia per evitare che il trattamento sanzionatorio sia calcolato sulla base del risalto e dell’effetto mediatico della notizia, più che sulla reale incidenza nel tessuto sociale e sul reale danneggiamento, sia per impedire che la soluzione sia peggiore del male, giacché un evento che scuote le coscienze comporta solitamente, come reazione, una riduzione della libertà de cittadini".

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Nel medesimo articolo veniva ricordato anche il palese contrasto tra l’eventuale installazione di TC e il disposto dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970), ma si poneva l’accento soprattutto sul fatto che “la videosorveglianza permanente delle aree in cui si svolge attività didattica condiziona psicologicamente sia gli insegnanti che gli stessi allievi. A tali osservazioni si aggiunge una riflessione sullo sviluppo della personalità e la concezione distorta di libertà che potrebbero acquisire i minori arrivando a considerare normale di essere sorvegliati da una TC e soprattutto rinunciare a un diritto per far spazio a quelle che sono considerate legittime esigenze di tutela… Il controllo costante mediante TC nelle aule potrebbe infatti facilmente provocare nei bambini e nei ragazzi un danno allo sviluppo della personalità, anche grave nel delicato periodo della formazione caratteriale e psichica fino a poter determinare la degradazione del concetto di riservatezza e accettare come normale il controllo a distanza con ogni prevedibile implicazione di tipo psicologico e sociale”.

 

Il pensiero dell’autore, da noi riportato solo nei passaggi essenziali, si conclude con un’importante riflessone giuridica: “il diritto penale è l’estrema reazione dell’ordinamento a un comportamento che non è possibile disciplinare in modo diverso. Una condotta rispetto alla quale lo Stato ammette il proprio fallimento, in termini di formazione, educazione, prevenzione, cultura, e reagisce imponendo una sanzione più o meno grave con la forza che deriva dall’esercizio del potere coercitivo. Le TC, come le armi, non hanno una destinazione specifica alla tutela o alla violazione dei diritti, ma sono solo uno strumento che necessita di un uso consapevole”.

 

Le indagini video fotografiche – Approccio tecnico e giuridico. Carabinieri del RIS Messina

 

Di questo interessante documento non ci interesseremo dei pur innumerevoli problemi tecnici trattati quali la nitidezza, la distorsione, la conservazione, la duplicazione, l’aberrazione cromatica, la compressione, la qualità delle immagini e la sincronizzazione del sistema audio, ma dei risvolti giuridici dell’utilizzo dei video nei processi penali.

 

“La prova da filmato utilizzata a fini di giustizia ricade essenzialmente in tre categorie:

 

A scopo ILLUSTRATIVO: sono i video che mostrano situazioni non altrimenti comprensibili per un collegio giudicante (es. una scena del crimine senza i sospettati).

A scopo DOCUMENTALE: sono i video che riprendono fasi temporalmente antecedenti all’interrogatorio di un testimone o di un sospettato (TC nascoste che videoregistrano il comportamento di soggetti prima di essere interrogati).

A scopo di SORVEGLIANZA: sono i video registrati da TC costituenti sistemi di controllo di obiettivi sensibili, accessi, zone militari, stazioni, stadi etc.

Secondo la suddetta classificazione, il posizionamento di TC nascoste dentro le scuole a fini d’indagine non può che rientrare, per analogia, nella seconda categoria (documentale). Le TC nascoste vengono piazzate avendo ben nota l’identità dell’indagato e in seconda battuta viene accertato l’eventuale reato. Nella terza categoria (sorveglianza) il procedimento è affatto invertito: le TC non sono nascoste ma addirittura segnalate da appositi cartelli e servono dapprima a evidenziare eventuali reati, poi a supportare gli inquirenti nell’individuare l’identità dell’autore del reato. La pratica tuttavia ci mostra che l’utilizzo delle TC nascoste nelle scuole è affatto diverso così da potersi definire un “ibrido atipico”. Prova ne sia l’indagine avviata nei confronti di una sola maestra che poi coinvolge ulteriori colleghe per i medesimi reati. Nella fattispecie infatti l’attività documentale si somma a quella di sorveglianza con la variante addizionale delle TC nascoste per quest’ultima.

 

 

Aspetto cinematografico

 

I manuali di cinematografia ci insegnano inoltre che le inquadrature di pochi secondi – come nel caso delle clip estratte dai “progressivi” montate ad hoc per realizzare un trailer – non formano né una scena (successione di piani nelle quali l’azione si svolge e rispetta l’unità di tempo e di luogo), né una sequenza, o un’unità narrativa più estesa. Questa infatti è caratterizzata da un inizio, uno sviluppo, seguito da un climax (momento culminante di un’azione). Al contrario il risultato ottenuto sarà solamente un assemblaggio di inquadrature (detti piano), che sono una successione di fotogrammi (ognuno dei quadri in cui è suddivisa la pellicola), che scorrono veloci, dando l’idea di movimento.

Il punto di vista della scena dipende sempre da dove è piazzata la telecamera e dalla sua inclinazione. Esistono diversi tipi di inquadrature, ma quella che ci interessa è l’inquadratura dall’alto, detta anche plongée, e si ha quando la macchina da presa è posta in alto rispetto al personaggio o all’oggetto. Il suo asse ottico è rivolto in basso ed è perpendicolare al suolo. È un’inquadratura che tende a schiacciare il personaggio e a renderlo prigioniero del contesto, anche se può assumere diverse valenze. In molti casi, la cinematografia ha associato quest’inquadratura a scene di morte o a episodi violenti. Proprio per il suo punto di vista elevato, assomiglia a uno sguardo che controlla e giudica tutto dall’alto.

 

Analogie e differenze tra visita ispettiva tecnica ministeriale (VITM) e indagine giudiziaria con telecamere (IGT)

 

Ambedue (VITM e IGT) si svolgono sul luogo di lavoro e in orario di lavoro e possono dare esito negativo (nessun riscontro ad accuse o denunce) o avere conseguenze, più o meno gravi, che vanno dalla semplice azione disciplinare fino al licenziamento nel primo caso, ovvero dall’arresto a una condanna detentiva importante nel secondo. La VITM è attuata da un ispettore che ha ricevuto un’adeguata formazione in materia di educazione, insegnamento, didattica e pedagogia, essendo egli stesso transitato attraverso l’esperienza di numerosi concorsi per accedere alla docenza e, talvolta, alla stessa dirigenza. L’IGT al contrario è condotta da inquirenti che non hanno alcuna esperienza dell’ambiente scolastico, né del rapporto professionale con un’utenza asimmetrica, molteplice, variegata per educazione, etnia, maturazione ed eventuali disabilità. Mentre la telecamera spia di nascosto l’operato del docente indagato (l’evidente conflitto con l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori è superato solo attraverso l’autorizzazione del GIP alle AVI), l’ispettore agisce in presenza attraverso sopralluoghi e permanenza in aula a sua discrezione. L’attività ispettiva può anche concludersi con l’opzione “medico-sanitaria” che prevede la richiesta dell’accertamento medico d’ufficio in Collegio Medico di Verifica. Si consideri infatti che a seguito delle recenti riforme previdenziali, l’età media delle maestre si è alzata e le indagate nell’ultimo quinquennio presentano un’età media di 56,4 anni. Trattandosi di lavoro gravoso, verrebbe spontaneo ipotizzare un possibile esaurimento delle docenti piuttosto che un’indole malvagia che si sarebbe manifestata per tutto l’arco professionale. Le VITM per contro hanno due grossi limiti: i tempi di attivazione delle stesse sono decisamente lunghi (diversi mesi) e il numero degli ispettori è stato oltremodo ridotto a livello nazionale.

 

La soluzione al fenomeno dei PMS (Presunti Maltrattamenti a Scuola) resta pertanto quella di restituire al dirigente scolastico la consapevolezza che le sue due principali incombenze medico-legali sono nell’ordine la tutela della salute degli insegnanti e la salvaguardia dell’incolumità della piccola utenza. La prima sarà la miglior garanzia per la seconda, in una professione riconosciuta come psicofisicamente usurante. Adottare il sistema inglese è pertanto auspicabile: i genitori che si trovano a denunciare dei PMS devono rivolgersi per primo al dirigente scolastico che ha il compito di accertare, rimuovere ed eventualmente sanzionare e segnalare a chi di dovere i comportamenti professionali inadeguati. Al contempo il preside è chiamato ad attuare la prevenzione di legge e il monitoraggio dello Stress Lavoro Correlato nella sua scuola (art. 28 DL 81/08). E’ significativo, a tale riguardo, richiamare alcune considerazioni di giudici che hanno evidenziato che taluni comportamenti dei docenti erano da trattare con provvedimenti disciplinari e non con azione penale.

 

Come già riportato in precedenti articoli, si auspica l’avvio di un tavolo tra MIUR e MGG per concertare l’intervento da effettuare (es. sistema inglese) e, in subordine, l’impiego degli ispettori ministeriali nella decrittazione delle AVI in ambito scolastico per porre un freno alla drammatizzazione degli eventi.

 

Di seguito un elenco di quesiti che fanno comprendere quanto difficile sia l’ottenimento di sentenze giuste e omogenee di fronte alle troppe variabili e all’arbitrio cui ci si trova finora a ricorrere.

 

Domande sui PMS e sui relativi metodi d’indagine

 

1. Si conoscono tutte le competenze professionali che il Contratto Scuola (art. 27 CCNL), richiede a un docente?

2. Gli inquirenti possiedono le necessarie competenze per valutare l’operato dei suddetti professionisti?

3. Tali competenze sono almeno comparabili se non superiori a quelle degli ispettori ministeriali degli USR incaricati delle indagini ispettive sui docenti?

4. L’intera audiovideointercettazione (AVI), se presente, è visionata dai giudici per intero o solo in merito alle clip tratte dai cosiddetti “progressivi”?

5. La durata dell’AVI è contingentata o discrezionale?

6. La decontestualizzazione delle immagini operata da non-addetti-ai-lavori (NAAL) può falsare la realtà degli accadimenti che hanno luogo nell’ambiente scolastico?

7. La selezione “avversa” di sole clip negative (trailer) rappresenta la realtà fattuale, pur escludendo le clip e i progressivi “positivi”?

8. L’assemblaggio di trailer con le sole clip negative (solitamente circa l’1% delle riprese totali) può essere considerata espressione valida della personalità di un qualsiasi individuo e in particolare di un docente sul posto di lavoro?

9. La trascrizione delle immagini da parte di NAAL, nel descrivere i contatti fisici docente-alunno, può essere fuorviante (percossa, violenza, schiaffo, ceffone vs buffetto, scappellotto, pacca, coppino…), quando non sussiste alcun riscontro medico-legale oggettivo (tumor, rubor, dolor, calor, functio lesa), ma solo un parametro di giudizio emotivo e dunque arbitrario? Non si rischia l’effetto “drammatizzazione”?

10.Esiste un linguaggio specifico e codificato da adottare con la piccola utenza, corredato da una lista ben definita e circoscritta di “segni fisici, verbali, non verbali” sia positivi (coccole, carezze, abbracci, incoraggiamenti etc) che negativi (richiamo, ingiunzione, sgridata, mimica severa, diniego col dito o col capo etc) consentito alle maestre nell’esercizio della loro professione in cui gestiscono un rapporto multiplo e contemporaneo (fino a 29 bimbi per classe contemporaneamente)?

11. Esiste, a maggior ragione per gli insegnanti di sostegno, una lista ben definita di manovre e azioni cui possono ricorrere (es. contenimento dei bimbi con diagnosi importanti e a rischio per loro stessi e per i compagni) senza rischiare di essere accusati di violenza nei confronti dei minori o di privazione della loro libertà?

12. In numerose circostanze l’indagine avviata a carico di un solo docente, e protratta per centinaia di ore, ha finito col coinvolgere altri colleghi. Quale lettura si può dare a questo fenomeno: azione criminosa concertata tra maestre? Omertà da parte del restante personale scolastico? Misunderstanding dovuto a metodi d’indagine inadatti? Altro ancora?

13. In alcune indagini per PMS sono state contestate agli indagati anche le loro attività professionali (azione didattica inefficace, abbandono dei bimbi etc): come si concilia il fatto con l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori?

14. Come mai nella maggior parte delle indagini non è chiamata in causa la figura del dirigente scolastico nonostante abbia il dovere e i mezzi (sospensione cautelare – DPR 171/11 – e accertamento medico d’ufficio del docente) per tutelare immediatamente la piccola utenza a differenza dell’intervento dell’A.G. che ha obbligatoriamente tempi lunghi per denuncia, verifiche, autorizzazioni, AVI per settimane etc?

Eppure, tutto ciò non deve farci dimenticare che l’ambiente scolastico resta quello più sicuro, almeno per la piccola utenza. La cronaca nera ci racconta infatti che i bimbi sono decisamente più a rischio, per gravi fatti di sangue, all’interno delle mura domestiche. È tutt’altra faccenda, oggi, per i docenti."

 

Insegnanti, salute negata e verità nascoste  https://www.edises.it/collane/insegnanti-salute-negata-e-verita-nascoste.html

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