News

Ho riflettuto a lungo sulla dilagante violenza nei confronti dei docenti da parte di studenti e genitori. Questa la mia conclusione. La società odierna, distorta, nella quale non si ha più rispetto per nessuno, vede due vittime privilegiate: i genitori e gli insegnanti. Spiego.

Con l'avvento del consumismo, della psicologia diffusa e profusa a piene mani, con gli imperativi di una malintesa pedagogia, fare il genitore è diventato difficilissimo.

Ogni errore, ogni capriccio del figlio viene immediatamente ascritto al genitore che, davvero, qualunque strada intraprenda, irrimediabilmente sbaglia. La famiglia è assente, la famiglia è troppo presente, la famiglia non fa vivere le frustrazioni che fanno crescere, la famiglia è fonte di frustrazioni, non si impone, è troppo autoritaria, non dà al figlio due schiaffi, c'è da chiamare il telefono azzurro (cosa che, tra l'altro, i figli imparano fin dalla tenera età). Potrei continuare all'infinito. Troppo sport , non gli fa fare abbastanza sport. Eccessiva medicalizzazione, quel ragazzo ha bisogno del neuropsichiatra. Vestito di marca fino nelle mutande, lo manda in giro come un miserabile e i compagni lo deridono.

Insomma... il genitore sbaglia sempre, a meno che non sia senza figli, allora, sì, è perfetto. E passiamo all'insegnante, l'altro muro portante del processo educativo. Dà troppi compiti, ne dà troppo pochi, non è empatico, è senza spina dorsale, non sa coinvolgere, è "troppo" amico degli studenti e, dunque, non lo rispettano. Cosi, il genitore se la prende con l'insegnante e l'insegnante col genitore. Ma perché accade? Perché un genitore, che fa di tutto (e credetemi la maggior parte lo fa) e si vede chiamare per il proprio figlio, difficilmente riesce ad isolare il comportamento di quest'ultimo e a vederlo distaccato dal suo essere genitore.

Quello che sente è il biasimo per la sua capacità genitoriale. È come se stessero mettendo il timbro del fallimento a tutto l'enorme sforzo che, vittima anche lui di questo meccanismo perverso, fa per crescere i propri pargoli. Le sere a dire di fare i compiti, le ore perse ad accompagnarli a fare sport, pianoforte, corsi di lingue... gli straordinari per comprargli le scarpe che tutti hanno... tutto, tutto alle ortiche.

Genitore incapace. Punto. Dal canto suo, il docente, imbrigliato da una serie di riforme aziendali e intontito da corsi di psicologia, neuropsichiatria, primo soccorso, competenze, pronto soccorso, cucito e uncinetto, con la frustrazione nel cuore per aver studiato tanti anni una materia che non gli viene concesso di insegnare, pensando che avrebbe fatto meglio andare al mare anziché passare i giorni della sua gioventù sulle "sudate carte", con chi dovrebbe interloquire se non con quelli che hanno messo al mondo coloro che gli rendono la vita impossibile?

Coloro che hanno il potere di dilatare il tempo fino a fargli contare i minuti e i secondi della sua permanenza in classe? Ed ecco pronto il terreno del tremendo, inevitabilmente, scontro. Il punto è che, qui, mancano sempre i protagonisti: i ragazzi. Perché non si riesce a capire che genitori e insegnanti sono vittime di una gioventù che è andata in deroga a un elemento fondamentale nella crescita di un individuo: la responsabilità delle proprie azioni. Finché ci si darà la colpa l'un l'altro si continuerà ad esentare i ragazzi dall'assumersi la responsabilità di ciò che fanno, che dicono, che omettono di fare. Comprendersi su questo punto è fondamentale.

Quando dico a un genitore di un ragazzo che non studia o disturba, che io lo capisco, che capisco il suo sacrificio per educarlo e che la responsabilità è del ragazzo, non sua perché non ho motivo di dubitare che, come ogni genitore (lo sono anch'io e ne porto le ferite di guerra) si faccia in quattro per il figlio, vedo, nel genitore, un senso di liberazione. E, credetemi, mi ascoltano. Eccome. È proprio in quel momento che si crea un'alleanza. L'unica possibile.