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Adoro i libri, voglio bene alle case editrici e apprezzo il loro sforzo meritorio di produrre manuali scolastici che possano essere accattivanti per i giovanissimi. Però, però…posso dire che a volte questo sforzo prescinde del tutto dall’effettivo lavoro che si svolge in classe e da ciò di cui i ragazzi (e gli insegnanti) hanno davvero bisogno? (Questo, ovviamente, per non parlare delle inutili e infinite “nuove edizioni” degli stessi testi che, nate per un fine evidentemente commerciale, riescono a rendere il libro - che dovrebbe rappresentare un tesoro di conoscenze duraturo, importante e prezioso - un oggetto di consumo effimero, svilito e banale).

Faccio un esempio. Mi sono ritrovato a utilizzare un’antologia di letteratura per il biennio così fatta: decine di pagine di narratologia, con minuziose descrizioni di ‘fabula’, ‘intreccio’, ruolo dei personaggi e mille altre cose, poi lunghe spiegazioni sui tipi di testo, poi pretestuose schede di analisi del testo, molto più lunghe dei poveri brandelli di narrazione o di descrizione a cui venivano applicate, ed esercizi a non finire su minuscoli brani; poi le competenze (potrebbero mai mancare?), la multimedialità, l’interdisciplinarietà, le verifiche sommative, i focus, i ‘verifica se hai capito’… (tutte cose che gli studenti, bontà loro, si guardano bene dal leggere). E i testi? Cerco (passo al presente, tanto la questione è tristemente attuale) qualche mito da leggere con gli studenti, trovo UN brano di due paginette, circondato una selva di pagine per me del tutto inutili; è tratto dal libro della Genesi, è una parte del racconto della creazione dell’uomo e della sua signoria sulla Terra. Basta. E gli altri miti dove sono? Cerco qualche fiaba da leggere, trovo (dopo pagine e pagine che spiegano cos’è la fiaba, con l’ormai inevitabile riferimento a Propp) UN brano striminzito tratto da Pinocchio, con il solito apparato di introduzioni, commenti, analisi, esercizi, schede e così via. Basta, non c’è nient’altro. Quand’è che gli studenti leggeranno quelle fiabe di cui ormai in astratto e in teoria – molto in teoria – sanno ‘tutto’?

Ora, dico: poi ci lamentiamo che i nostri ragazzi non si appassionano alla lettura? Dove sono le storie che dovrebbero appassionarli? E poi: se il libro costruisce percorsi obbligati, con rarissimi testi in un mare di altre cose, noi insegnanti che ci stiamo a fare? Io non me ne faccio niente di tutte le chiacchiere di un libro nel quale i testi sono solo pretesti per lunghe noiosissime analisi, sono soltanto esempi spezzettati di spiegazioni teoriche; a me (e soprattutto ai miei studenti) servono i brani, vivi, sensati, appassionanti, possibilmente in numero sufficiente a tracciare il ritratto di un autore, di un milieu culturale e sentimentale, di un genere letterario: le osservazioni linguistiche, strutturali e stilistiche, i collegamenti tematici, le riflessioni, le divagazioni, le interpretazioni, l’attualizzazione, tutte queste cose fondamentali dovrei farle io e dovrebbero farle soprattutto i miei studenti guidati da me. Noi insegnanti di lettere – se è vero, come dovrebbe essere vero, che siamo degli esperti e degli appassionati di letteratura - avremmo bisogno, almeno per le antologie del biennio, solo di una buona raccolta di brani particolarmente significativi  da leggere (ed è nella scelta che si vede la bravura dell’antologista), con una basilare contestualizzazione, con informazioni essenziali ed interessanti sui libri, sulle storie e sugli autori, al massimo con qualche esercizio altrettanto essenziale e qualche nota esplicativa. Solo questo: è chiedere tanto? So che un’antologia di questo tipo (normalissima fino a qualche decennio fa, oggi rivoluzionaria) è stata tentata dalla scuola Holden, non so con quale fortuna editoriale e scolastica. 

Comunque, dovremmo ricordare sempre quello che ne La scuola raccontata al mio cane Paola Mastrocola diceva proprio a proposito di Pinocchio: “Ricordo un ragazzino che amava leggere, schiacciato da mesi e mesi di analisi di un capitolo di Pinocchio. Lui voleva andare avanti, vedere come finiva la storia, e invece gli facevano sottolineare i verbi, le similitudini, le espressioni dialettali [il bellissimo libro della Mastrocola è del 2004; oggi si fa molto di peggio], sempre del primo capitolo. L’ultima volta che lo vidi, mi disse che voleva buttare Pinocchio nella spazzatura” (Paola Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, Parma, Guanda, 20004, p.82). Prima di soffocare i ragazzini con analisi che annoierebbero anche il più fanatico degli strutturalisti (a meno che non vengano fatte lì per lì, appunto, nel vivo della lezione, con la classe come “comunità interpretante”, definizione di Romano Luperini), vogliamo far leggere loro la storia e appagare la loro curiosità di sapere come va a finire? La letteratura è fatta per essere letta prima che per essere studiata come un cadavere da dissezionare, o no?