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Consiglierei a tutti di leggere lo strepitoso libro di Roberto Contu, Insegnanti (il più e il meglio), Perugia, Aguaplano, 2019, capace di mostrare attraverso il racconto della vita in classe e con uno stile brillante - privo del grigiore burocratico del didattichese - come una solida consapevolezza culturale possa tradursi in attività didattica appassionante, concreta ed efficace. Lì leggo, tra mille altre cose: "Sono convinto che l'insegnante sia per definizione un essere che accetta di passare la vita a studiare ininterrottamente e in modo forsennato".

Mi sembra la definizione più appropriata dell'insegnante, cui aggiungerei solo il riferimento alla capacità di mettersi nei panni di chi si ha di fronte, anche questa presentissima esplicitamente o implicitamente in molti dei racconti e delle considerazioni sviluppate da Contu. Insomma, l'insegnante dovrebbe essere qualcuno dalle grandi passioni culturali - una delle cose su cui fonda la sua autorevolezza - unite a umanità, capacità comunicative, tatto pedagogico, un'idea chiara di ciò che vuole insegnare, del come e del valore di ciò che insegna. Uno che ama i libri - non dovrebbe esserci nemmeno bisogno di dirlo -, ama studiare, ama trasmettere quello che lui stesso impara trasmettendolo e ama i ragazzi che gli sono affidati. Già... Ma è questa la visione dell'insegnante che ha chi legifera sulla scuola? Un punto fondamentale su cui verificarlo è quello del reclutamento. È chiaro che non esiste una modalità di reclutamento che assicuri la presenza in classe di insegnanti di questo tipo (di insegnanti tout court, verrebbe da dire), capace di 'misurare' in maniera inconfutabile certe qualità, alcune delle quali (come l'empatia e la capacità di comunicare) sono davvero difficili da valutare; però, a occhio, si può dire che modalità di reclutamento che hanno alla base la preparazione e lo studio - uno studio sostanziale, cioè basato sulla conoscenza approfondita di autentici contenuti culturali e, aggiungerei, umani, invece di chiacchiere burocratiche imparate a memoria - danno senz'altro qualche garanzia in più di serietà. Comunque, più che avere certezze in positivo, in questo campo sappiamo benissimo "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo". L'elenco di ciò che non vogliamo è lungo: percorsi casuali e dissennati, che favoriscono i più veloci e i più furbi invece che i più bravi e preparati, 'ricorsite', cioè quel fenomeno legato alla querulomania per cui chiunque ormai prova a farsi assumere a prescindere da ogni requisito e da ogni reale merito, confidando sul fatto che tanto prima o poi arriva la sanatoria; e ancora CFU e modalità astruse e totalmente formali, prive di ogni reale valenza culturale, di acquisizione di 'punti', finte università telematiche che ci guadagnano su, persone finite su posti, ad esempio di sostegno, per motivi burocratici e non grazie a una reale preparazione indispensabile a svolgere un lavoro delicatissimo... Parliamo insomma di tutto quel pasticcio che si verifica ogni volta che, per motivi 'politici', sindacali e altro, si esce dalla logica del concorso serio o del serio percorso formativo e si considera la scuola come un'agenzia di collocamento che deve garantire il diritto al lavoro, senza prendere minimamente in considerazione il diritto degli studenti ad avere di fronte intellettuali ed educatori colti, umanamente ricchi, preparati e motivati. Alcuni non se ne rendono conto, altri lo sanno e le propongono scientemente, in una prospettiva di erosione dell'istruzione pubblica e democratica, ma le scorciatoie in questo delicatissimo settore sono proprio ciò che squalifica la scuola e la sua funzione assolutamente vitale.