Come ci aspettavamo ormai, tra le “intenzioni” del Ministro e le possibilità delle casse dello Stato c’è un abisso come quello tra 600 euro che gli insegnanti “meritano” e i 90 euro lordi che diventano 50 netti al mese.


Entro fine anno la legge di Bilancio dovrebbe coinvolgere tutti i contratti della PA e la scuola rientra tra questi, anzi rappresenta oltre un terzo della PA quindi una parte consistente.

Veniamo al dunque. In base al lato per l’innovazione firmato a marzo tra sindacati e governo, si prevede un aumento di circa il 4%, al lordo degli elementi perequativi e delle indennità di vacanza contrattuale. Ciò sei traduce in un aumento medio di poco più di 100 euro lorde mensili per tutti i lavoratori della PA. Sembra un revival di quanto visto 4 anni fa a fine 2017-inizio 2018 sotto elezioni politiche quando si parlava dei famosi 80 euro lordi di aumento. I docenti, essendo una categoria con uno stipendio più basso rispetto a medici, forze armate, funzionari vari, potranno vedere un aumento medio di non più di 90 euro lorde mensili, circa 50 euro netti al mese.

La mancetta del 2018 viene riproposta 3 anni dopo.

Forse non era questo ciò che gli insegnanti si aspettavano, forse dopo aver ingoiato il rospo nel 2018, quando i sindacati dissero: se non fermiamo perdiamo anche questo piccolo aumento, adesso ci si aspettava qualcosa di più.

Ci si chiede dove sia quel punto di PIL da investire nella scuola, ci si chiede come possano lavorare con serenità insegnanti che guadagnano non più di 1300 euro al mese. Il ministro, invece, continua a chiedersi come mai in molte regioni nessuno vuole più fare l’insegnante. Forse la risposta c’è ma non vuole vederla.

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