La scuola ha bisogno di insegnanti felici; la scuola ha bisogno di insegnanti sereni; la scuola ha bisogno di insegnanti motivati. Potremmo continuare con frasi fatte e dette da politici e consiglieri dell’ultima ora. Ma tra il dire e il fare…


Reclutamento e stipendi sono i due grandi problemi che da oltre 20 anni affliggono la scuola dell’autonomia. In ambedue i casi i ministri hanno raggiunto solo e sempre pessimi risultati. Risultati che non sarebbero stati così pessimi in una scuola senza ministri. Ogni intervento sul reclutamento, ogni intervento sugli stipendi ha prodotto peggioramenti, mai miglioramenti.

Ma cosa ci si può aspettare da un insegnante che non riesce ad arrivare a fine mese con lo stipendio che si ritrova ad avere? Cosa ci si può aspettare da un insegnante che ha lasciato famiglia dall’altra parte del Paese? Come è possibile che ancora ci si meravigli che nelle scuole del centro di Milano mancano 800 insegnanti, proprio dove il costo di un affitto supera quello di uno stipendio?

Il declino della scuola pubblica forse va letto in questi due fattori interessanti che riguardano la professione docente: stipendi e pessimo reclutamento.

Ricette? Sarebbero facili se non ci fossero i bastoni tra le ruote.

Il vero problema è che gli stessi insegnanti non credono più nelle lotte di categoria, non credono nelle manifestazioni organizzate dai sindacati, non credono nei sindacati stessi. La nostra categoria è la meno sindacalizzata e sicuramente qualcuno dovrebbe farsi qualche domanda.

La nostra professione non è come le altre. I sindacati non possono mutuare gli stessi strumenti delle lotte operaie per ottenere diritti. L’insegnante si occupa di cultura, difficilmente scende in piazza. L’insegnante svolge un lavoro di responsabilità, ha in mano il futuro di 9 milioni di studenti, difficilmente li “molla” per una lotta per quanto giusta che sia. L’insegnante, quindi, va avanti con senso di responsabilità, spirito di sacrificio.

Ma il senso di responsabilità spesso finisce laddove involontariamente l’insegnante deve fare i conti con la propria serenità interiore, con le difficoltà a far quadrare i conti. Il senso di responsabilità spesso finisce laddove l’insegnante deve impiegare buona parte del suo tempo per mettere le “carte” in ordine.

E allora nella lunga filiera della formazione l’anello debole costituito dagli studenti si ritrova a subire gli effetti indesiderati di una didattica a singhiozzo, quella dei supplenti che cambiano sempre, una didattica senza adeguata serenità condotta da quegli insegnanti che hanno un occhio alla classe e la mente piena di problemi da risolvere ed infine quella didattica disturbata da continue esigenze burocratiche, carte da firmare, moduli da compilare , registri da mettere in ordine che lasciano poco spazio alla sostanza vera e propria.

La scuola è diventata piena di zavorra ormai insopportabile, tale da perdere pezzi durante l’anno scolastico. Ci sono classi ancora senza studenti a metà novembre, ci sono decine di migliaia di alunni in situazione di handicap senza il loro insegnante di sostegno; ci sono adempimenti e scadenze che vanno rispettati anche senza sostanza. Perchè alla fine l’importante è avere le carte in regola. Non sia mai arriva un ricorso, chi ha i soldi per pagarsi un legale con cui difendere il proprio lavoro svolto con onestà e dedizione?

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