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Da molto tempo ritengo importante che gli insegnanti – ogni giorno a contatto con persone in crescita, che vivono cioè dinamiche affettive ricche e complesse – possano accostarsi a una conoscenza non superficiale della psicoanalisi e delle sue scoperte, anche come forma di apertura mentale; tuttavia, poiché gli insegnanti non sono e non possono essere psicoterapeuti (chi si improvvisa tale può fare grossi danni), questa conoscenza non deve necessariamente passare per l’acquisizione di contenuti “tecnici”, richiesti invece a un professionista, ma può diventare una forma di arricchimento culturale, umano, emotivo, capace di nutrire la sensibilità e le stesse capacità empatiche...

Quale modo migliore, allora, per approcciare questi contenuti da tale punto di vista, che leggere storie analitiche di grande valore anche letterario, culturale, esperienzale? D’altra parte, lo stesso Freud ha ribadito più volte come le scoperte della psicoanalisi siano state in molti casi anticipate dalle profondità affettiva delle opere letterarie; e chi ha letto gli scritti freudiani sa bene come non pochi di essi – Un sogno d’infanzia di Leonardo da Vinci, i Casi clinici, Il Mosé di Michelangelo, solo per citarne alcuni - possiedano un singolare andamento narrativo o assomiglino alle inchieste e al progressivo svelamento dei romanzi ‘gialli’. Descrivo allora qui brevemente tre romanzi incentrati – ognuno a modo suo – sulla storia di un’analisi che è stata capace di cambiare una vita e caratterizzati da una grande potenza emotiva: Il male oscuro di Giuseppe Berto, Le parole per dirlo di Marie Cardinal e Il silenzio dell’onda di Gianrico Carofiglio.

Il male oscuro, un libro del 1964, è stato scritto quando ancora le tematiche psicoanalitiche facevano fatica ad affermarsi nella cultura italiana e spesso erano più orecchiate che conosciute per esperienza diretta, a parte l’eccezione di Saba in cura negli anni Trenta presso Edoardo Weiss (della scarsa penetrazione della psicoanalisi nella cultura italiana fino all’inizio degli anni ‘60 dà testimonianza il documentatissimo saggio di Michel David, La psicoanalisi nella cultura italiana, uscito in prima edizione nel 1966 e in una nuova edizione nel 1990). Berto, con magnifica ironia e uno stile inconfondibile - periodi interminabili e senza punti fermi, con frasi che continuano a nascere l’una dall’altra, quasi a mimare lo svolgimento delle libere associazioni - racconta la storia della propria vita e della propria analisi in un modo che riesce a essere addirittura divertente, anche se la vicenda si svolge sullo sfondo di una terribile angoscia, cui l’ironia cerca di fare da antidoto e da confine, e con la quale verso nella conclusione del libro si riesce a giungere a un parziale compromesso.

Le parole per dirlo, un romanzo straordinario e giustamente famoso pubblicato nel 1975, è il racconto intensissimo e commovente di una salvezza, l’attraversamento di un vero e proprio inferno, in un percorso che parte da terribili sintomi psicosomatici, dal pericolo della reclusione in una clinica psichiatrica e dell’annientamento attraverso psicofarmaci alla fuga e all’inizio di un dolorosissimo percorso di sette anni di analisi, durante i quali la protagonista rivive i traumi e le spaventose sofferenze della propria infanzia, con veri e propri tuffi vertiginosi nell’inconscio e la ricostruzione di un mondo (nel quale trova spazio anche la Storia con la “s” maiuscola, con l’allontanamento forzato dall’Algeria dei pieds noirs, di cui la famiglia dell’autrice faceva parte) e di tutta la propria vita in una nuova prospettiva, fino alla liberazione finale e al perdono nei confronti di chi non c’è più.

Ne Il silenzio dell’onda di Carofiglio è possibile trovare, credo per la prima volta in un romanzo, uno squarcio sul rapporto umano che si crea tra paziente e psicoanalista (anche se nel libro viene definito ‘psichiatra’; ma non c’è dubbio che il processo vissuto da Roberto, il protagonista, sia quello analitico), con l’impressionante descrizione di una seduta davvero ‘fuori ordinanza’, che mostra l’importanza della libertà in analisi, senza peraltro delegittimare - proprio perché quello che si svolge al di fuori delle regole analitiche avviene una volta sola, quando non può non avvenire - la necessità e l’effetto protettivo del “setting”. Altri elementi di grande interesse sono il tentativo di riprodurre ciò che avviene nella mente di un bambino, la sua affettività profonda, sogni compresi, e il commovente cercarsi dei "padri" e dei "figli", figure simboliche al di là del legami biologici. Quello di Carofiglio è un romanzo che mi emoziona particolarmente, non solo perché come un giallo ci rapisce pagina dopo pagina con il bisogno crescente di scoprire cos’è successo davvero nella vita del protagonista, e in quella dell’altro personaggio che gli fa da controcanto e con cui è destinato a incontrarsi, ma anche per i luoghi in cui è ambientato: lo studio dell’analista vicino Piazza Fiume, a Roma, l’abitazione di Roberto nel quartiere Monti, la scena finale a Santa Marinella. Non posso spiegare qui quali incredibili coincidenze trovi con la mia storia...

In generale, io credo che la psicoanalisi abbia così tanto a che fare con il bisogno di raccontare e di raccontarsi, di dare un senso a quello che accade, che consiglierei a tutti la lettura di questi libri come parte di un processo di scoperta di sé – propedeutica per chiunque voglia accompagnare le persone in crescita in questa stessa scoperta -, una vera e propria terapia della lettura attraverso un confronto con il mondo smisurato delle esperienze interiori, delle emozioni e dei sentimenti e con l’elaborazione che altri prima di noi ne hanno compiuto.