E’ un problema vecchio di anni, qualcosa che viene fuori ogni volta che si parla di rinnovo del contratto. La valutazione dell’insegnante è qualcosa che tutti i ministri del 21° secolo hanno nominato con scopi meschini camuffati dalle migliori intenzioni.


Perchè valutare?

Prima di vedere se il lavoro di insegnante sia valutabile sarebbe opportuno chiedersi: perchè valutare? A cosa dovrebbe servire? Premesso che la carriera dell’insegnante sia legata esclusivamente ad un fatto di anzianità, una valutazione che non sia legata ad una progressione di carriera (che per gli insegnanti non esiste) non ha senso.

Abbiamo appena abolito il bonus merito nel 2020, una misura che stanziava 120 milioni di euro l’anno che ha fatto molto discutere sin dalla promulgazione della legge 107. Esperimento fallito che ha decretato l’impossibilità di procedere a una valutazione oggettiva e un vulnus insito nel sistema dell’autonomia: la mancanza di fondi per pagare quei docenti che fanno attività extra. Alla fine in molte scuole il bonus merito ha finito per pagare i docenti per quelle funzioni per le quali non c’erano fondi di istituto. Quindi tutt’altro che merito.

Il bonus merito nelle intenzioni della riforma legge 107 nasceva per innescare meccanismi di sana competizione tra insegnanti e “premiare” alla fine dell’anno quei pochi che si distinguevano. Il risultato è stato completamente diverso. Il bonus premiale ha innescato guerre tra poveri al punto tale che le graduatorie di attribuzione del bonus premiale spesso sono state addirittura coperte da inconsistenti norme sulla privacy. Praticamente vengono premiati i docenti migliori ma la scuola preferisce non far sapere chi sono. Un paradosso. Di solito se sono premiato ci tengo a farlo sapere.

Perchè, allora valutare l’insegnante? Forse per avere un feedback nel proprio lavoro? Per questo esiste il RAV a livello di istituto che raccoglie anche pareri da parte di alunni e docenti.

E veniamo all’invalsi. E’ a seguito dei risultati di una valutazione inutile come le Invalsi che spesso arrivano le bastonate ai docenti. Se gli studenti vanno male è colpa dei docenti, se invece vanno bene è merito degli studenti.

Invalsi, dunque, come mezzo indiretto per valutare l’operato dell’insegnante. E non importa se sono uguali su tutto il territorio nazionale e non tengono conto delle differenti situazioni in cui si opera a scuola.

L’uniformità dei test Invalsi è in completa antitesi con la programmazione didattica personalizzata. Da un lato si chiede all’insegnante di organizzare un programma didattico cucito su misura di ogni studente, dall’altro si valuta questi ultimi tutti con lo stesso strumento e con gli stessi parametri. Se aggiungiamo le complicazioni legate alle classi pollaio, il quadro si completa.

La valutazione dell’insegnante, quindi, nella mente di qualcuno, era un modo per motivare l’insegnante a fare meglio. Ma mi sorge una domanda spontanea: non è che forse un insegnante è demotivato per via dello stipendio da fame che percepisce? Non è che forse un insegnante che entra in aula pieno di preoccupazioni su come pagare una bolletta, come pagare le tasse, come adeguarsi al costo della vita sempre crescente, perde quella serenità per lavorare al meglio? E che dire di quegli insegnanti, decine di migliaia, che lavorano lontano da casa? Sono nelle migliori condizioni operative? L’insegnante non è una macchina ma una persona che messa nelle migliori condizioni raggiunge i migliori obiettivi.

Cosa valutare?

Cosa si dovrebbe valutare per stabilire se l’insegnante Salvo è più bravo dell’insegnante Giovanni? Quale sarebbe la metrica? Come si stabiliscono i criteri rispettando l’art. 33 della costituzione che sancisce la libertà di insegnamento?

Leggendo alcuni criteri ne saltano all’occhio parecchi che fanno sorridere. Perché più si cerca di essere obiettivi, più ci si rende conto che ci si allontanerà dallo stabilire chi è bravo e chi meno.

Ogni docente saprebbe indicare nella propria scuola il collega bravo, capace ma questa indicazione non è possibile intrappolarla in una griglia di valutazione. Nel momento in cui stabilisci una griglia di valutazione, perdi di vista alcuni valori importanti non altrimenti valutabili dal punto di vista docimologico.

E allora a cosa servirebbero titoli come conoscenza di una lingua straniera, specializzazioni varie, master, corsi di perfezionamento, insomma una montagna di carte che non dimostrano che il docente Salvo sia più bravo di Giovanni. E neanche criteri come l’assiduità nella presenza a scuola anche in situazione di malattia o la preparazione di grandi progetti di ogni genere potranno stabilire oggettivamente qualcosa in merito alla bravura.

Vogliamo affidare la valutazione agli alunni e ai genitori? Potrebbe essere un criterio accettabile. Molti docenti non ne avrebbero paura. Ma avete mai visto un medico valutato da un paziente? O un poliziotto valutato da un cittadino? Il tipo di valutazione che l’utenza può dare è sempre parziale, valuta ciò che arriva alla persona. Basterà essere più clementi e larghi di manica nelle valutazioni per raccogliere complimenti.

Appurato che una valutazione oggettiva non sia possibile ma soprattutto che essa non potrà mai avere alcuna finalità visto che non consente di fare carriera, possiamo arrivare alla conclusione che non c’è bisogno di valutare l’insegnante. Lo si valuti prima di entrare in ruolo, durante l’anno di prova, si stabilisca se sia o meno in grado di svolgere il delicato lavoro di occuparsi dell’istruzione degli studenti che gli vengono affidati.

L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento…

Art. 33 Costituzione Italiana

Se l’insegnamento è libero, nessuno può dirci se insegniamo meglio o peggio di un altro.

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