“Bisogna che tutto cambi affinché tutto resti uguale”, sembra la frase giusta da affibbiare ai politici affetti da gattopardite. Nella realtà mai come in questo periodo abbiamo avuto un ministro per ogni anno di governo, ben 4 dal 2018 al 2022, in ben tre diversi governi e tre diverse coalizioni di governo.


In principio era Bussetti, il carenate di turno. Chi era costui? Da dove viene fuori? In un governo Lega – M5S viene fuori una istruzione affidata alla lega, che ovviamente da sempre ha a cuore la scuola, tanto da affidarla al portavoce Pittoni che di scuola se ne intende, visto che non ha conseguito neanche un diploma. Bussetti sembra spaesato, dirigente scolastico per puro caso, come tanti, vincitore di un ricorso (ormai si diventa più facilmente DS vincendo ricorsi, non concorsi). La sua carriera fulminante lo porta al provveditorato (così si chiamava una volta) di Milano.

Finalmente un esperto di scuola, dicono in tanti, ma cosa fa Bussetti nel breve anno scolastico che lo riguarda? Lo abbiamo dimenticato tutti, me compreso.

Il Ministro dell’Istruzione Marco Bussetti rilascia una intervista l’8 febbraio 2029, durante la sua visita ad Afragola, comune in provincia di Napoli. Il ministro leghista, alla domanda di un cronista di un’emittente locale se servissero più fondi al Sud per recuperare il gap con le scuole del Nord, ha risposto: «No, ci vuole l’impegno del Sud, vi dovete impegnare forte, questo ci vuole». Non più fondi quindi ma «impegno, lavoro e sacrificio». E’ l’inizio di un percorso verso la regionalizzazione che culmina nella caduta balneare del governo sempre per mano della Lega.

Forse qualcuno non ricorda ma da quel momento iniziò un percorso che mirava a diversificare i trattamenti stipendiali per gli insegnanti in un processo di regionalizzazione. Bussetti si era reso responsabile di non riuscire a riempire le cattedre vacanti in tutto il Nord-est e riteneva una valida soluzione diversificare gli stipendi, come se il lavoro degli insegnanti avesse un diverso valore regione per regione.

Cade il governo giallo-verde e ci si dimentica ben presto del carenate Bussetti.

Il nuovo anno scolastico ci consegna un nuovo ministro, stavolta espressione M5S, Lorenzo Fioramonti. Determinato, intraprendente, alla mano così tanto che forse non ha fatto i conti col suo stesso governo. Fioramonti è un giovane docente universitario di Economia Politica, forse un po’ fuori dal contesto della scuola ma il ministero riguardava allora anche l’università e la ricerca e quindi forse poteva essere la persona adatta.

Fioramonti dura meno di 4 mesi, meno di un quadrimestre. Una durata insufficiente per affidargli una valutazione. Di fatto non ha il tempo di occuparsi di nulla. Chiede soldi, chiede 3 miliardi per aumentare gli stipendi degli insegnanti e per un rinnovo del contratto scaduto il 31 dicembre 2018, ma sbaglia. Infatti pone un ultimatum, una minaccia, insomma. Se non ottiene fondi, si dimetterà. Non li ottiene in legge di bilancio e a natale 2019 si dimette. Sarà l’unico ministro di tutta la legislatura a mantenere una promessa: le sue dimissioni.

Ma il secondo governo Conte accoglie di buon grado le dimissioni di uno strano ministro che punta i piedi chiedendo soldi per gli stipendi, così potrà sostituirlo con una fedelissima, più facile da gestire: Lucia Azzolina.

Il ministero viene sdoppiato in ministero dell’istruzione e ministero dell’università, così da evitare, almeno che la Azzolina faccia danni anche all’università.

Molti accolgono con entusiasmo la nuova ministra, insegnante, finalmente ma che non si fa scrupolo di continuare il suo percorso per diventare dirigente scolastico pur nell’evidente conflitto di interesse.

Azzolina dovrà affrontare una grande sfida: la scuola in periodo di pandemia, una cosa mai vista nella storia moderna. Cosa fa? Accetta consigli? Chiede aiuto? No, semplicemente presenziassimo. Da Gennaio 2020 a febbraio 2021 vedremo Lucia in tutte le possibili trasmissioni, tutti i possibili collegamenti a parlare senza contraddittorio, a dettare ricette sulla DaD, lei che di informatica per la didattica se ne intende, lei che nel concorso per Dirigente Scolastico rinuncia alla prova di informatica e al relativo punteggio, tanto è esperta del settore.

Azzolina che prima loda le nuove tecnologie per la didattica a distanza, dimenticandosi che ad usarle ci sono gli insegnanti (dipendesse da lei non si arriverebbe neanche ad una banale videoconferenza auto gestita), poi ingaggia una lotta per il rientro a scuola in presenza, incurante di tutti i rischi che la pandemia comporta. E’ testarda, di principio, non ascolta gli insegnanti. Al massimo ascolta i genitori che non riescono più a tenere i propri figli a casa, al massimo ascolta Anita, l’alunna balzata agli onori della cronaca e strumentalizzata da chi sottovaluta i pericoli del contagio nelle scuole.

“La scuola è sicura”, è la frase più pronunciata dalla Ministra e per renderla ancora più sicura cosa fa? Banchi nuovi, distanziamento, ma non quello in cui ognuno sta fermo dev’è perchè la norma lo impone (ricordate il metro elastico che in aule piccole può anche valere 90 centimetri?), no, distanziamento variabile, coi banchi a rotelle.

A onor del vero non impone i famigerati banchi ma li include nelle spese ammissibili per “fronteggiare la pandemia e il rischio contagio”. Sto ancora cercando di capire come un banco mobile possa migliorare la situazione, forse consentendo allo studente di scappare da un virus che lo insegue.

Azzolina, colei che ad Agosto 2020 lancia un “grande piano di assunzioni nella scuola” ma dimentica che 82.000 posti sono quelli accumulati negli anni in quei luoghi in cui non ci sono insegnanti in graduatoria né vincitori di concorso. Prima si vanta di quei posti, poi non spiega come ben 63.000 rimarranno vacanti. Non dice più nulla sul reclutamento, zitta, tace.

A settembre 2020 è caos, con decine di migliaia di cattedre vacanti in Lombardia, Veneto e Piemonte. Non è “colpa” sua, dice, ma di chi c’è stato prima e non ha avviato concorsi, ma degli 82 mila posti a disposizione si era vantata come di una grande conquista.

L’anno inizia nel peggiore dei modi, in dad, in did, in clima di polemica. Tutti gli insegnanti le dicono che 25 alunni in un’aula da 30 metri quadri non garantiscono il distanziamento, tutti le ricordano le sue “promesse” contro le classi pollaio ma lei non risponde. Non ricorda più. E’ ormai prassi consolidata il fatto che non appena ci si sieda sullo scranno più alto alla guida di un carrozzone come il ministro dell’istruzione, ci si dimentichi di tutto, persino di essere stati in classe qualche mese prima.

L’epilogo molti lo conoscono, al compimento del suo primo anno al ministero Azzolina non è più la persona dell’anno precedente. All’inizio del 2021, circa la fine del primo quadrimestre (noi insegnanti abbiamo un nostro preciso calendario), mentre ci si dibatte sul rientro in presenza e su frasi come “la scuola è sicura”, cade il secondo Governo Conte.

Qualcuno tira un sospiro di sollievo, qualcuno spera in un ministro che finalmente possa gestire bene i soldi del PNRR che sono tanti per la scuola, arriva Bianchi.

Un tipo strano, Bianchi, inizialmente timido ma ben presto contrae una annuncite cronica e ci delizierà di un annuncio (spesso anche due) al giorno.

Si presenta come il Ministro che la scuola aspettava da anni, forte del supporto economico che arriva dal PNRR. Ma ben presto gli insegnanti impareranno a conoscere la fonte delle sue “idee”, una fonte non citata ma usata dallo stesso Draghi nel suo discorso di insediamento quando chiede la fiducia al Senato.

Le istanze di Bianchi sono ben chiare, le stesse portate avanti da una certa Fondazione Agnelli, espressione del potere economico ed industriale, quella fondazione che dice come si dovrebbe far scuola nel pubblico ma poi manda i figli negli istituti privati d’élite.

Ci tiene a far bella figura Patrizio, ma come tutti i suoi predecessori, non accetta consigli dagli insegnanti, anzi li legge e fa l’esatto opposto. Infierisce sulla DAD che a suo dire non è scuola dimenticando l’immane sforzo fatto da un milione di insegnanti italiani e inizia a gettare fango sui docenti.

Da oltre un anno ogni giorno un insegnante si sveglia e sa che dovrà leggere una “perla” di Bianchi sulla scuola. Si passa alla scuola “affettuosa” e qui Bianchi mostra un affetto smisurato per gli insegnanti: 50 euro di aumento di stipendio che propone ad ogni incontro coi sindacati. Inutile dire che tra un incontro e l’altro c’è un aumento dell’inflazione e gli insegnanti si ritrovano sempre più poveri. In 6 mesi si sono visti sparire la tredicesima ma Bianchi ancora propone 50 euro di aumento.

Ma il “capolavoro” di Bianchi è una cosa che ha fatto infuriare tutti, anche i partiti che lo sostengono anche lo stesso PD che lo ha indicato. Come ogni ministro che vuol passare alla storia, Bianchi pensa ad una riforma. Ora, la parola riforma già fa infuriare gli insegnanti, sanno anche senza leggerla che sarà solo qualcosa di peggio per loro.

La cosa interessante è che mentre i sindacati sono impegnati nelle elezioni RSU, Bianchi confeziona una riforma, dettata tra l’altro da Fondazione Agnelli, e la infila nel malloppo del PNRR come fosse una cosa urgente.

Ma non c’è nulla di così urgente se non un piano per la riapertura delle scuole che Bianchi ancora non ha fatto, né quest’anno, né lo scorso anno.

Il 1 maggio, festa del lavoro, gli insegnanti si accorgono che il decreto legge, la riforma Bianchi e tutte le porcherie in essa contenute, sono state pubblicate in gazzetta ufficiale. Sono già legge, o quasi.

Dentro c’è di tutto, un percorso articolato per il reclutamento reso ancora più difficile, formazione obbligatoria per gli insegnati, formazione incentivata, promesse di aumenti per chi si forma, scuola di alta formazione… insomma qualcosa che andava discusso con tutte le parti ma che Patrizio che ha fretta pensa “bene” di inserire nel PNRR. E mentre lo fa, incontra velocemente sindacati e qualche partito. Mostra delle slide che dicono bugie. Dice che i docenti che si formano velocizzeranno la carriera ma nel decreto scrive altro. Dice dei crediti per diventare insegnante e si incarta mentre parla ma nel decreto scrive altro. Dice che ci saranno tanti soldi ma nel decreto scrive che questi vengono dal risparmio del taglio di posti e carta del docente.

Addestramento è l’altra parola cara a Bianchi, vuole forse un esercito di lavoratori della scuola? Formare gli insegnanti come se non fossero abbastanza formati ma lui lo sa, basta leggere i dati della piattaforma SOFIA per capire quanti sono formati. Tuttavia l’annuncite cronica del Ministro non si ferma.

Ma una cosa in comune questi ministri ce l’hanno. Ad eccezione di Fioramonti che non è durato un intero anno scolastico, ognuno ha voluto personalizzare l’esame di Stato. un po’ come colui che vuole rendere perfetta qualcosa che altri hanno fatto in precedenza. Sia pure per un ritocco sui criteri di valutazione sia pure per la scelta dei membri della commissione, interni o esterni, sia pure per una virgola. Poco importa ma alla fine non si è ministri degni di questo nome se non si cambia la maturità personalizzandola.

Ma chi sarà il prossimo ministro? Forse sarà meglio non averne e andare avanti con procedure di routine, visto che ogni intervento peggiora la situazione della scuola.

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